«Rolfi diffamato»,
condannati. Libero
e il giornalista Piccini

di Mimmo Varone
A sinistra Fabio Rolfi con l’abito da templare in una foto di alcuni anni fa
A sinistra Fabio Rolfi con l’abito da templare in una foto di alcuni anni fa
A sinistra Fabio Rolfi con l’abito da templare in una foto di alcuni anni fa
A sinistra Fabio Rolfi con l’abito da templare in una foto di alcuni anni fa

È stata diffamazione. Con una sentenza emessa il 27 aprile il Tribunale ordinario di Brescia (prima sezione civile) dà ragione all’ex vicesindaco Fabio Rolfi, riconosce il parziale carattere diffamatorio di due articoli pubblicati da «Libero» il 25 e il 26 febbraio 2012 e condanna l’Editoriale, il direttore Maurizio Belpietro e il giornalista Leonardo Piccini al pagamento di 30 mila euro (l’accusa ne aveva chiesti 200 mila).

Per Piccini, autore dei due articoli dal titolo «I grandi maestri della Lega Nord» e «Consulenze e incarichi. Gli affari dei templari leghisti», anche la pena aggiuntiva di tremila euro.

Si conclude così la causa avviata nel 2013 da Rolfi, patrocinato dagli avvocati Andrea Mina e Piergiorgio Merlo, contro Piccini, difeso da Lorenzo Cinquepalmi, e contro «Libero» e Belpietro, che si erano affidati a Luca Lo Giudice. Per capire l’accaduto conviene ricordare alcuni fatti. Rolfi è stato per un breve periodo affiliato alla onlus Suprema Militia Equitum Christi, vale a dire ai Templari. Il 6 aprile 2012, tra l’altro, la questione aveva prodotto un’ interrogazione del consigliere comunale Idv Alfredo Cosentini al sindaco Adriano Paroli. Il quale aveva risposto che «non vi era alcuna incompatibilità tra la carica di vicesindaco e l’appartenenza alla Onlus».

NEL FRATTEMPO la moglie di Rolfi, Silvia Ranieri, aveva partecipato a un concorso pubblico indetto dalla Provincia di Brescia per la copertura di 8 posti di istruttore amministrativo, classificandosi quinta, senza peraltro che ci sia mai stata alcuna assunzione. E una successiva commissione d’inchiesta aveva dichiarato legittima la graduatoria. Ranieri ha successivamente ottenuto dal direttore generale dell’Asl di Milano un periodo di aspettativa non retribuita (e non conteggiata nell’anzianità) per un incarico a tempo determinato. Ciò premesso, nel primo articolo Piccini descrive la Suprema Militia come «potenzialmente in grado di condizionare scelte e nomine nella pubblica amministrazione». E già per questo il giudice Angelica Castellani scrive nella sentenza che si tratta di «una accusa molto grave che sebbene indirizzata alla Onlus incide indubbiamente sulla reputazione» di Rolfi, poiché induce ad associargli un’accusa «della cui veridicità non è stata fornita alcuna prova da parte dei convenuti».

DIFFAMATORIO, per il giudice, è pure il secondo articolo in cui, a proposito della moglie, Piccini si chiede: «È forse grazie a questa consorteria così profondamente annidata nel cuore della Lega Nord che Fabio Rolfi, fallito il primo tentativo di sistemare Silvia Ranieri attraverso un concorso pubblico indetto dalla Provincia di Brescia, la piazza all’Asl di Milano?».

Con la precisazione che «si piazza 18esima in un concorso per l’assunzione di un solo impiegato, ma viene ugualmente assunta». Assunzione straordinaria, in realtà, «relativa a 26 persone - nota il giudice – secondo ordine di graduatoria». E anche in questo caso, in mancanza di prove, «la notizia era idonea a ingenerare nel pubblico la convinzione che la signora avesse scavalcato i 17 concorrenti prima di lei e fosse stata assunta per mera raccomandazione».

IL GIORNALISTA di Libero, per il giudice, «travalica» il diritto di critica anche quando chiama in causa, tra gli altri, il presidente dell’Ordine degli ingegneri Marco Belardi, e si domanda se «è forse in virtù della comune militanza templare con il vicesindaco leghista che ottiene consulenze ben retribuite dal Comune di Brescia?».

La forma interrogativa non basta nemmeno in questo caso. Per il giudice «non vi è prova che gli incarichi in questione siano stati attribuiti da Rolfi o da quest’ultimo anche solo influenzati».

Alla base di tutto, insomma, c’è la riaffermazione del principio che in caso di critiche particolarmente gravi non deve esserci manipolazione strumentale dei fatti, tale da impedire di discernere resoconto e giudizio, oggettività (relativa) e soggettività (espressiva).

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