Val Rabbia, una «bomba» sotto sorveglianza

di Lino Febbrari
I resti  di una passerella spazzata via dalla furia FOTO MAURO CASALINILa grande area  interessata dalle colate detritiche di dieci anni fa ripresa dall’alto  FOTO MAURO CASALINI I lavori di rimozione dei detriti finiti sulla statale del Tonale nella località Tre Archi
I resti di una passerella spazzata via dalla furia FOTO MAURO CASALINILa grande area interessata dalle colate detritiche di dieci anni fa ripresa dall’alto FOTO MAURO CASALINI I lavori di rimozione dei detriti finiti sulla statale del Tonale nella località Tre Archi
I resti  di una passerella spazzata via dalla furia FOTO MAURO CASALINILa grande area  interessata dalle colate detritiche di dieci anni fa ripresa dall’alto  FOTO MAURO CASALINI I lavori di rimozione dei detriti finiti sulla statale del Tonale nella località Tre Archi
I resti di una passerella spazzata via dalla furia FOTO MAURO CASALINILa grande area interessata dalle colate detritiche di dieci anni fa ripresa dall’alto FOTO MAURO CASALINI I lavori di rimozione dei detriti finiti sulla statale del Tonale nella località Tre Archi

«È stata una sera che non dimenticherò mai. Ancora oggi pensandoci mi vengono i brividi». Si emoziona Fabio Fanetti, ex sindaco di Sonico, mentre con la mente ritorna indietro nel tempo a dieci anni fa. Erano le 20 circa del 27 luglio del 2012 quando accadde la terrificante alluvione del torrente Rabbia. Gli esperti spiegarono che a scatenare il finimondo fu la concatenazione tra piogge intense concentrate in un piccolo bacino come quello delle Valli di Bompiano e di Rabbia (50 millimetri in meno di mezz’ora) e le alte temperature, che dopo giorni oltre i 30 gradi, con lo zero termico molto al di sopra dei 3500 metri, sciolsero le lingue glaciali e il permafrost ai circa tremila metri delle creste che circondano quell’area. Quelle condizioni portarono a una rapidissima saturazione dei depositi, che si trasformarono in colate e precipitarono a velocità molto elevate (dai sette ai dieci metri al secondo) nella valle ripida e stretta alle spalle di Rino. Un’immane quantità di materiale (successivamente quantificata dai geologi in oltre 500mila metri cubi) si riversò in quattro ondate per alcuni chilometri fino all’altezza della località «Tre Archi» di Sonico, bloccando il deflusso dell’Oglio e interrompendo la statale del Tonale. Un dramma sfiorato, perché il traffico in quel momento era intenso. La prima ondata ricoprì l’asfalto di un denso strato di fanghiglia, ma tutti i veicoli, a eccezione di un paio abbandonati precipitosamente dai proprietari, riuscirono a fare retromarcia prima che le successive «cancellassero» circa 300 metri di carreggiata. Non ci furono vittime, ma danni ingentissimi. La terza ondata di piena trascinò via come un fuscello il ponte in calcestruzzo che immetteva nell’abitato di Rino. «Venne spazzato via perché la sua luce era completamente intasata di massi e detriti - ricorda Fanetti -: la bomba d’acqua raggiunse l’altezza dei lampioni, sollevò e capovolse la soletta del manufatto che pochi metri dopo si frantumò in diversi pezzi». L’ex amministratore si ritrovò a dover gestire un’emergenza durata settimane, con la frazione praticamente isolata, una montagna di detriti da rimuovere e i collegamenti idrici ed elettrici da ripristinare. «Posso dire che in quei giorni la mia abitazione principale era il municipio. Immediatamente attivammo il protocollo di protezione civile e tutte le istituzioni interessate fino al livello nazionale. Ricordo che le prime squadre di soccorritori furono operative già pochi minuti dopo il disastro. La prima notte fu la più lunga perché, tra enormi difficoltà logistiche, dovemmo innanzitutto accertarci che non ci fossero dispersi e poi provvedere alle più impellenti esigenze della popolazione di Rino, rimasta senza luce, senza gas e isolata dal capoluogo. Anche effettuando il lungo giro passando da Garda, Zazza e Malonno non potevano raggiungere Sonico: ai Tre Archi la statale era invasa da metri di fango». Negli anni successivi sono state realizzate imponenti opere di difesa idraulica, il nuovo ponte è stato ricostruito e in quota sono stati installati moderni sistemi di monitoraggio, in grado di allertare la popolazione in caso di nuovi distacchi con un preavviso di almeno 15 minuti. Il tutto è costato parecchi milioni. «A distanza di dieci anni possiamo dire che con la Val Rabbia si può sicuramente mitigare il rischio, ma non si potrà mai eliminarlo - afferma l’ex primo cittadino -. Il compito dell’amministrazione comunale è fare in modo che i cittadini vivano in condizioni di sicurezza e, quindi, garantire tutti i sistemi che permettano di rilevare tempestivamente eventuali colate detritiche. Altro purtroppo non si può fare».•.

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