«Il jihadista social
era una potenziale
fonte di pericolo»

Gafurr Dibrani, a destra, in Questura a Brescia nei mesi scorsi, prima del decreto d’espulsione dall’Italia FOTOLIVE
Gafurr Dibrani, a destra, in Questura a Brescia nei mesi scorsi, prima del decreto d’espulsione dall’Italia FOTOLIVE
Gafurr Dibrani, a destra, in Questura a Brescia nei mesi scorsi, prima del decreto d’espulsione dall’Italia FOTOLIVE
Gafurr Dibrani, a destra, in Questura a Brescia nei mesi scorsi, prima del decreto d’espulsione dall’Italia FOTOLIVE

«Fondato su premesse valutative incongrue e contrastanti». A pronunciarsi in questi termini è la Corte di Cassazione e il riferimento è al provvedimento con cui il tribunale del Riesame dispone l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di Gafurr Dibrani. Il kosovaro, fino al novembre scorso residente a Fiesse è accusato, sulla base di indagini della Digos della Questura di Brescia e della Procura di Brescia, di apologia del terrorismo. Questo per aver pubblicato su Facebook materiale ritenuto apologetico dell’Isis. E per questo, in esecuzione di un’ ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del tribunale di Brescia era stato arrestato. Poi il tribunale, annullando l’ordinanza, ne ha disposto la scarcerazione, e pressochè contestualmente Gafurr Dibrani è stato espulso dall’Italia. Ora la Cassazione, cui ha presentato ricorso la procura di Brescia, si è pronunciata e ha depositato le motivazioni della decisione.

LA SUPREMA CORTE ritiene «fondata» la doglianza relativa al «contenuto apologetico di cinque videoregistrazioni, postate sul profilo personale Facebook del Dibrani, le quali, secondo la parte ricorrente, contenevano inequivocabili manifestazioni di propaganda dell’Isis, rese evidenti dal fatto che in tali comunicazioni telematiche era sempre presente il riferimento al conflitto bellico in corso di svolgimento sul territorio siro-iracheno, nel quale la predetta organizzazione terroristica di matrice islamica radicale risulta direttamente coinvolta». Con riferimento alle videoregistrazioni in questione, per la Cassazione si può parlare del reato di apologia di un reato perchè si tratta di un documento inserito su un sito internet «privo di vincoli d’accesso» con una «potenzialità diffusiva indefinita». E quindi, sempre con riferimento al Riesame di Brescia, secondo la Cassazione: «L’ordinanza impugnata trascura che la giurisprudenza di legittimità, da tempo, ha affermato che l’attività di proselitismo, fondata su ragioni di carattere etnico o religioso, ben può essere effettuata mediante i canali telematici - tra i quali occorre certamente comprendere il social network denominato Facebook- attraverso cui si mantengono i contatti tra gli aderenti o i simpatizzanti, mediante la diffusione di documenti e testi apologetici, la programmazione di azioni dimostrative, la raccolta di elargizioni economiche, la segnalazione di persone responsabili di avere operato a favore della causa propagandata».

Il tribunale del Riesame «Nel caso di specie non ha tenuto conto delle conseguenze apologetiche che i riferimenti espliciti e impliciti, al conflitto bellico siro-iracheno - nel quale risulta coinvolta un’organizzazione terroristica di ispirazione jihadista come l’Isis - contenuti nelle videoregistrazioni in esame erano in grado di provocare rispetto ai frequentatori del social network». Per questo «nel valutare la portata apologetica di tali videoregistrazioni» occorreva «considerare la natura di organizzazioni terroristiche, rilevanti ai sensi dell’art. 270 bis del codice penale, delle consorterie di ispirazione Jihadista operanti su scala internazionali, analoghe allo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, da ultimo ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte». E viene sottolineato «in particolare» che risulta «smentito dallo stesso percorso argomentativo seguito dal Giudice del Riesame l’assunto su cui si fonda il provvedimento impugnato, secondo cui le videoregistrazioni postate sul profilo Facebook del Dibrani, nell’arco temporale compreso tra il 29 gennaio e il 5 novembre 2015, si limitavano a sollecitare un’adesione di matrice meramente ideologica e religiosa dei potenziali utenti telematici al ruolo istituzionale dello stato Islamico dell’Iraq e della Siria nell’area mediorientale».

UN PERCORSO motivazionale, quello del riesame contrassegnato da «incongruità ed eccentricità» rispetto agli indizi raccolti. Si è «trascurato di considerare che i riferimenti a una delle parti in guerra, rappresentata dall’Isis., presupponevano il richiamo alla Jihad islamica, che costituisce la fonte d’ispirazione, dichiarata e non controversa, delle azioni militari dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria». E in merito viene riportato, a titolo esemplificativo, il messaggio contenuto nella videoregistrazione del 17 agosto 2015 in cui si inneggia al martirio: «Voglio incontrare Dio, madre nascondi le lacrime, Adhan chiama alla Jihad...». M.P,

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