Intimidazioni in piena notte a pochi giorni dal processo bis

di Valerio Morabito
Uno scorcio del centro storico di Calvisano
Uno scorcio del centro storico di Calvisano
Uno scorcio del centro storico di Calvisano
Uno scorcio del centro storico di Calvisano

Avevano probabilmente poco a che fare con la categoria dei ladri gli sconosciuti che, nello scorso weekend, hanno effettuato due incursioni a Mezzane di Calvisano. A pochi giorni dall’inizio del processo di secondo grado a un imprenditore di Calvisano accusato di essere il regista di una serie di raid contro un’azienda agricola della frazione, i titolari della stessa, e quindi parte lesa, hanno fatto i conti con due visite sgradite ravvicinate. Gli intrusi non hanno rubato niente: nel primo caso, sabato, gli sconosciuti hanno frugato nei cassetti e tra i documenti custoditi, e nel secondo, domenica notte, hanno provato a manomettere il computer del proprietario dell’abitazione. I contorni di una possibile intimidazione pre processuale nei confronti della famiglia di allevatori. È stato l’ultimo sviluppo di una vicenda che si trascina da anni. Lo scorso aprile, in primo grado, l’imputato era stato assolto, ma la sentenza era stata impugnata dalle vittime in veste di parti civili. La storia giudiziaria si era aperta con una serie di danneggiamenti delle stalle della famiglia di agricoltori che aveva raggiunto l’apice il 24 dicembre del 1999, quando furono messi fuori uso i motori elettrici di avviamento degli impianti di riscaldamento e di alimentazione fondamentali per gli animali presenti. USANDO un trapano, qualcuno aveva bucato i motori elettrici provocando un danno di 50 milioni di vecchie lire, e il sabotaggio aveva provocato la morte di decine di capi. Ma prima di quel blitz, la famiglia di imprenditori agricoli era stata vittima di presunte estorsioni, minacce, danneggiamenti delle automobili e uccisioni di animali; compreso il cane da guardia. Perché? Per una vertenza aperta attorno a un pacchetto di lavori eseguiti nella stalla. L’artigiano di Calvisano finito a processo e i committenti avevano fissato inizialmente un corrispettivo di circa 20 milioni di vecchie lire. Ma alla fine dell’intervento la ditta avrebbe chiesto (o preteso, stando alla parte offesa) il doppio del concordato, e il «no» avrebbe innescato la reazione. •

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