LA POSSIBILITA'

Brescia, la "Culla per la vita" c'è: non è mai stata utilizzata

di Marta Giansanti
Attivata nel giugno del 2007 lungo le mura storiche del Civile, a ridosso del parco, e realizzata dal Rotary Club Rodengo Abbazia, in collaborazione con il centro di Aiuto alla vita
La Culla per la Vita di Brescia, fuori le mura degli Spedali Civili di Brescia
La Culla per la Vita di Brescia, fuori le mura degli Spedali Civili di Brescia
La Culla per la Vita di Brescia, fuori le mura degli Spedali Civili di Brescia
La Culla per la Vita di Brescia, fuori le mura degli Spedali Civili di Brescia

In Italia sono poco meno di 60, una di queste si trova anche Brescia, sulle mura storiche degli Spedali Civili ma in un angolo appositamente nascosto alla vista dei passanti: è la "Culla per la vita" realizzata nel giugno del 2007 grazie al Rotary Club Rodengo Abbazia, in collaborazione con il centro di Aiuto alla vita, ma mai utilizzata. Oggi l'esterno è poco curato ma il sistema è attivo e funzionante. Una "culla" termica salva bebè, dotata di uno sportello posto all'esterno delle mura di cinta del Civile che permette di mantenere l'anonimato più totale. L'ambiente interno è confortevole e riscaldato e assicura il benessere del neonato nei pochissimi minuti che separano l'abbandono dall'arrivo dei medici e degli infermieri, avvisati da un segnale acustico che si attiva dopo la chiusura della porticina.

La Culla per la Vita di Brescia, fuori le mura degli Spedali Civili di Brescia
La Culla per la Vita di Brescia, fuori le mura degli Spedali Civili di Brescia

E' quanto accaduto il giorno di Pasqua, il 9 aprile, nella ruota del Policlinico di Milano: il terzo bimbo da quando è stata attivata nel 2007. A Brescia, invece, non è mai accaduto. Nonostante la presenza della culla, nel 2018, una mamma in città decise di abbandonare il proprio bimbo in un passeggino vicino a un cassonetto. E' stato grazie al sospetto di un passante, incuriosito dalla presenza di quel passeggino lasciato su strada, che è stato possibile salvare la vita a un neonato che aveva pochissimi giorni di vita. Nel passeggino c'erano anche una coperta, dei cambi per il piccolo e un biberon di latte. A Milano il 9 aprile, nella culla c'era una lettera scritta dalla sua mamma. "Non è una ruota degli esposti, è molto di più", hanno precisato i medici dell'ospedale meneghino.

La storia della "ruota degli esposti"

La ruota degli esposti comparve per la prima volta in Italia nel 1178, grazie a papa Innocenzo III che impressionato dai tanti cadaveri di bimbi raccolti dai pescatori nelle acque del Tevere, istituì una ruota nell'ospedale di Santo Spirito in Sassia. Una bussola girevole e cilindrica, quasi sempre realizzata in legno e suddivisa in due parti chiuse con uno sportello. Un sistema che permetteva alle persone di lasciare i neonati nella bussola senza essere visti in viso. Quando la ruota girava suonava una campanella all'interno della struttura di accoglienza, spesso istituti religiosi. Vicino al marchingegno c'era anche una fessura per le offerte. All'inizio della seconda metà del 1800 in tutto il Paese si contavano circa 1.200 ruote, portando la popolazione ad abusarne. Ogni anno venivano abbandonati mediamente 40mila bambini. L'alta mortalità infantile degli esposti raggiunse il 60 per cento, costretti nei brefotrofi a vivere in pessime condizioni igienico-sanitarie. Motivo che portò alla loro abolizione nel 1923. Si dovranno aspettare altri settanta anni per sentire parlare della "ruota" grazie al dottor Giuseppe Garrone che, nel 1992, si fece promotore della riapertura della ruota ma molto più tecnologica, sicura e al passo coi tempi. In Italia, come detto prima, ce ne sono circa 60 ma non sono presenti in tutte le regioni. Ne sono sprovviste: la Calabria, il Friuli, il Molise, la Sardegna e il Trentino. In Lombardia, invece, ce ne sono una decina. In ogni caso, oggi, per le legge, la donna può decidere di non riconoscere il proprio bambino al momento del parto in ospedale. 

 

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