LO SCANDALO

Collezionisti d’arte fasulli: Brescia al centro del caso

di Eugenio Barboglio
Portato alla luce da Arteconomy24 e dalla denuncia di un operatore milanese
Art Verona, uno dei più importanti appuntamenti del settore, l’ultima edizione si è tenuta nell’ottobre scorso
Art Verona, uno dei più importanti appuntamenti del settore, l’ultima edizione si è tenuta nell’ottobre scorso
Art Verona, uno dei più importanti appuntamenti del settore, l’ultima edizione si è tenuta nell’ottobre scorso
Art Verona, uno dei più importanti appuntamenti del settore, l’ultima edizione si è tenuta nell’ottobre scorso

«I profili Instagram di quattro noti collezionisti questa mattina sono stati cancellati: Carlo Alberto Ferri, Pier Paolo Lonati, Beatrice Rinaldi e Raffaele Sartori non esistono più, ma la notizia è che in verità queste quattro persone non sono mai esistite, erano dei fantasmi. La faccenda è complicata...». Inizia così il lungo articolo a firma di Nicola Zanella apparso il 9 gennaio su Arteconomy de il Sole 24 ore. Ed in effetti quella che descrive è davvero una storia intricata, che getta una luce ambigua sul mercato dell'arte contemporanea, a cui quello stesso mondo si ribella. Ma il fatto è che quella storia è ancora più complicata di quanto appaia nell'articolo e soprattutto riguarda da vicino, molto da vicino, la nostra città. Più di quanto dicano i riferimenti riportati da Zanella.

Il vaso di Pandora lo scoperchia il gallerista milanese Federico Vavassori che riferisce ad Arteconomy24: «Uno stimato art advisor con cui collaboriamo regolarmente ci ha segnalato la presenza di un dipinto, esplicitamente attribuito a un artista da noi rappresentato, su un profilo Instagram che si presentava come l'account personale di un collezionista privato di nazionalità italiana e residente in Svizzera: Pier Paolo Lonati. Una tempestiva verifica con l'artista ha confermato i nostri dubbi sull'autenticità dell'opera, che è risultata essere un'intenzionale manipolazione di un dipinto realmente esistente e reso quasi irriconoscibile. L'ambigua reazione del titolare di quell'account nel momento in cui gli abbiamo comunicato la falsità dell'opera, richiedendo anche precise delucidazioni sulla provenienza, ha generato una catena di sospetti che ci hanno portati a verificare i rapporti intrattenuti da questo individuo con svariati altri profili Instagram analoghi». Insomma, Vavassori mangia la foglia e dà il via ad una serie di controlli incrociati che non lasciano dubbi: salta fuori «una sconcertante rete di account fittizi».

Per farla breve: ci sono delle persone che fanno parte del mondo dell'arte che si sono inventati dei profili Instagram di collezionisti che non esistono e che usano per «pompare» degli artisti o proporli per l'acquisto dicendo che sono bravissimi... Insomma, attraverso questi profili alimentano una narrazione positiva, finalizzata ad accrescerne fama e prezzi di opere. Questo è a grandi linee quanto è emerso dopo la «denuncia» di Vavassori, una vicenda che ha fatto infuriare molti operatori «sani» nell'ambiente e che ora tiene banco sul web specializzato. Ma l'aspetto in più rispetto a quanto raccontato è appunto il fatto che l'epicentro di questa vicenda sia Brescia. Non solo perchè uno dei quattro profili cancellati, Pier Paolo Lonati, su Internet si presenta-va come imprenditore bresciano con base a Zurigo. Chi se ne importa delle sue origini, è una persona inventata. Semmai per i due artisti coinvolti nell'affaire: i bresciani, appunto, Francesco De Prezzo e Federica Francesconi.

Loro, riferisce Arteconomy, figurano, insieme ad altri molto più noti - nomi che pare servissero più che altro come fumo negli occhi per accreditare le collezioni medesime -, tra quelli che questi collezionisti inesistenti sponsorizzavano in post e interviste. Giovani artisti legati alla galleria StudioOrr di via Cremona. Ma ci sarebbe anche dell'altro, a cominciare dagli stessi profili fittizi costruiti ...ad arte, come moltiplicatori di fama propria e altrui. In realtà, non sarebbero solo quattro, ma molti di più, profili che, scoppiata la bomba - nell'ambiente non si parla d'altro -, vengono fatti sparire rapidamente. L'altra cosa è che di finto non ci sarebbero solo i collezionisti, ma anche mostre e artisti. Pittori dai nomi mitteleuropei, per i quali c'è chi avrebbe sborsato fior di soldi per poi scoprire che non esistono e rivolere tutto indietro a suon di minacce legali. Già, perchè questa storia potrebbe avere un versante legale, di cui qui risparmiamo i particolari delle «ipotesi di reato», ma in cui l'articolo di Arteconomy24 si diffonde. In attesa di sviluppi, la chiosa la consegna Vavassori a Bresciaoggi: «Questa preoccupante rete di falsità mette a repentaglio il durissimo e serissimo lavoro delle gallerie, che con una quotidiana opera di mediazione sviluppano e tutelano il vitale rapporto tra gli artisti e i collezionisti, a beneficio dell'intera filiera. La crescente e innegabile popolarità dei social media, assurti a veri e propri marketplace al pari delle fiere, anche alla luce delle mutate abitudini post-Covid, merita una seria riflessione sul ruolo centrale delle gallerie come garanti della credibilità dell'intero sistema»..

Suggerimenti