LO STUDIO

Covid, cresce il «mal di vivere» nei ragazzi

di Magda Biglia
Secondo l'indagine condotta nel novembre 2021, in piena quarta ondata, su 3 dichiara almeno un episodio di autolesionismo nel mese precedente e più di uno su dieci ha ricevuto una diagnosi di disturbo della salute mentale. Lo studio diventa base di un nuovo progetto che coinvolge enti e realtà locali
Ragazzo depresso
Ragazzo depresso
Ragazzo depresso
Ragazzo depresso

Oltre settemila studenti bresciani, cinquemila delle superiori (nove gli istituti), duemila delle università, femmine al 64 per cento: 1 su 3 dichiara almeno un episodio di autolesionismo nel mese precedente. Ma non solo, il 43 per cento denuncia sintomi depressivi sopra la soglia di interesse clinico, il 47 per cento sintomi ansiosi, il 37 per cento descrive abusi di cibo, alcol o sostanze, il 32 per cento dichiara di avere problemi con il sonno. Inoltre, più di uno su dieci ha già ricevuto una diagnosi di disturbo della salute mentale.

È il quadro molto preoccupante, disegnato dai ragazzi nel novembre del 2021, nel pieno della quarta ondata da Covid-19, che è stato raccolto da un’equipe di professionisti della psichiatria dell’Irccs Fatebenefratelli come base di analisi di un progetto che coinvolge Comune, Ufficio scolastico territoriale, Ats, Asst Spedali Civili, Università statale, Fondazione Sipec, associazione di genitori Itaca e altre realtà dell’universo sanitario, come La Rete, e che ha ricevuto il sostegno di Fondazione Cariplo, progetto che si propone politiche di intervento rese tanto più valide dalla rilevazione.

I dati e il progetto saranno illustrati alla cittadinanza dalle 9.30 di lunedì 3 aprile in occasione di un convegno ospitato nella Sala del camino a Palazzo Martinengo delle Palle di via San Martino della Battaglia 18. Durante la conferenza stampa di presentazione del tavolo di lunedì, Roberta Ghidoni, direttrice scientifica dell’Irccs, e Roberta Rossi, responsabile dell’Unità di psichiatria, hanno sottolineato che quanto è emerso è frutto di una autovalutazione che naturalmente non costituisce né sostituisce un evento diagnostico. «Non dobbiamo tradurre questi dati in patologia- hanno detto -, ma non possiamo ignorare che molti, troppi giovani riportano aspetti di una sofferenza psicologica che merita misure precoci per evitare che un segnale possa, senza gli strumenti per gestirlo, cronicizzarsi e diventare un quadro clinico. Non significa che il 40 per cento ha un problema di salute mentale ma che in quel 40 ci sarà una parte importante che può andare incontro a un problema di salute mentale. L’adolescenza è già di per sé un periodo di subbuglio; occorre capire qual è il confine, per non patologizzare ma anche per non sottovalutare».

Sono racconti dei ragazzi, dai 14 ai 25 anni, ma i numeri paiono abbastanza allarmanti. Pure tenendo presente che, nella Brescia particolarmente colpita, il 20 per cento degli intervistati ha vissuto un lutto in famiglia, che tre su quattro hanno conosciuto un positivo, che il 15 per cento si è preso la malattia. Ma anche tenendo conto che la pandemia ha solo accelerato una situazione già di fragilità: un’ indagine su un piccolo campione di 153 «disturbati» ha mostrato che solo il 15 per cento di loro è peggiorato, il 46 per cento è rimasto stabile, il 34 per cento addirittura stava meglio perché la sua solitudine, il suo disagio erano «diventati di tutti». E che un altro studio su 179 soggetti, prima dell’attacco del virus, aveva rimarcato che solo il 16 per cento non aveva mai avuto comportamenti maladattativi mentre già il 26 per cento era ricorso all’autolesionismo.

Il malessere di una generazione. Le realtà in rete si sono date dunque un programma di intervento e Donatella Albini, consigliera comunale delegata del sindaco alla Sanità, ha proposto di coinvolgere i medici e i pediatri di base, «i primi a raccogliere la narrazione della sofferenza». Nelle scuole saranno avviati corsi di formazione per i docenti, incontri per i genitori e, per i giovani, percorsi di prevenzione, incontri di gruppo sulle strategie di autoregolazione emotiva secondo metodi codificati. Ma sarà anche messo in piedi fisicamente un ambulatorio, con psichiatri, educatori e volontari di Itaca, per chi già dimostra sintomi o segnali, «soprattutto l’autolesionismo segnale molto forte, usato come sollievo del dolore».

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