Dopo 87 assalti
azzerata la banda
delle slot machine

I banditi immortalati dalle  telecamere di videosorveglianza durante   l’assalto a un bar nella provincia di  Verona  FOTO DIENNEFOTO
I banditi immortalati dalle telecamere di videosorveglianza durante l’assalto a un bar nella provincia di Verona FOTO DIENNEFOTO
I banditi immortalati dalle  telecamere di videosorveglianza durante   l’assalto a un bar nella provincia di  Verona  FOTO DIENNEFOTO
I banditi immortalati dalle telecamere di videosorveglianza durante l’assalto a un bar nella provincia di Verona FOTO DIENNEFOTO

Il loro quartier generale era incastonato nell’ovest Bresciano e sembravano inafferrabili. In pochi mesi avevano messo a segno 37 colpi che avevano fruttato 180 mila euro. Agivano con l’efficienza di un commando riuscendo a eludere i servizi di sorveglianza e il pressing sempre più asfissiante delle forze dell’ordine. Ma, come capita spesso in questi casi, hanno commesso un paio di errori che sono stati determinanti per la loro cattura. I carabinieri che li hanno arrestati li hanno definiti i «professionisti delle slot machine». Una banda organizzata perfettamente in grado di spostarsi agevolmente in un’ampia fetta di territorio del Nord Italia per eseguire fino a quattro assalti a settimana. Dopo mesi di indagini e dopo aver raccolto un’ampia documentazione, i carabinieri della compagnia di Peschiera, guidati dal maggiore Antonio Milardi e dal tenente Gerardo Longo, hanno eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare. In cella sono finiti Arben Gjelili, Gezim Beqiri, Driton Gashi e Berat Berisha, tre kossovari e un macedone, oltre alla marocchina Loubma Bouhajou. I carabinieri stanno ricercando una sesta persona. Tutti devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata al furto. La nord africana anche di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. Durante la perquisizione domiciliare, infatti, i carabinieri hanno rinvenuto nella sua abitazione un etto di hashish.

TUTTI GLI INDAGATI abitano tra Chiari, Coccaglio e Torbole Casaglia e proprio a Chiari avevano la loro base operativa. La striscia di assalti ricostruita dagli investigatori inizia il 27 febbraio proprio sulle sponde del Garda, a Peschiera, quando nel mirino della banda finisce la sala giochi Las Vegas. Pochi giorni dopo, un nuovo colpo, sempre a Peschiera: il blitz in un bar con slot machine frutta cinquemila euro. I raid sono la punta di un iceberg: le gang allarga il suo raggio d’azione a Bergamo, Brescia, Mantova, Trento, Modena, Reggio Emilia.

I ladri lasciano la firma sui colpi muovendosi con copioni fotocopia: fanno irruzione distruggendo i serramenti con piede di porco e sbarre di ferro, poi caricano le macchine cambia denaro, direttamente sull’auto per poi scassinarle altrove. Così era avvenuto anche in occasione del primo colpo di Peschiera quando le slot erano state trovate in un campo di Pozzolengo. Ma, nel frattempo, anche i carabinieri non sono rimasti inattivi. Tutt’altro. Hanno cominciato a mettere insieme i pezzi del puzzle e a sfruttare i primi errori della gang.

Determinanti sono state alcune riprese filmate in cui si vedevano i sospettati entrare nelle sale che saranno poi prese di mira per compiere un sopralluogo: in sostanza studiavano la sistemazione dell’impianto d’allarme e la dislocazione di porte e finestre potenzialmente vulnerabili. Contemporaneamente sono iniziati i servizi di intercettazioni e pedinamenti per capire come si muoveva il commando.

In breve i carabinieri hanno potuto appurare che ognuno aveva un ruolo preciso: c’era la mente, che pianificava i colpi e sceglieva gli obiettivi, la marocchina faceva l’autista, una coppia al massimo di persone compiva materialmente il furto. Si è anche scoperto che per i sopralluoghi venivano utilizzate delle auto «pulite», intestate agli stessi componenti della banda o prestate da amici e parenti, mentre per i colpi venivano usate auto rubate, molto spesso Fiat Punto. In alcune occasioni, con la collaborazione di altre forze di polizia, il gruppetto è stato fermato, controllato e in alcuni casi denunciato per possesso di arnesi da scasso o di monete di cui non volevano dire la provenienza. In un’occasione i carabinieri hanno trovato un sacco con 35 chili di monete.

L’EPILOGO. Alla fine, gli investigatori coordinati dal pm Francesco Rombaldoni hanno messo insieme un’ampia documentazione che testimoniava l’attività delle sei persone sospettate. E nei giorni scorsi hanno chiesto e ottenuto dal gip Luciano Gorra l’emissione di altrettante misure cautelari che sono state eseguite a Verona e Reggio Emilia.

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