Guerra del marmo, «congelato» il bando

di Cinzia Reboni
Una veduta aerea dei bacini estrattivi di marmo di Botticino al centro di una complessa vicenda
Una veduta aerea dei bacini estrattivi di marmo di Botticino al centro di una complessa vicenda
Una veduta aerea dei bacini estrattivi di marmo di Botticino al centro di una complessa vicenda
Una veduta aerea dei bacini estrattivi di marmo di Botticino al centro di una complessa vicenda

La «guerra del marmo» continua a colpi di carte bollate. Ieri il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso dalle tre aziende di Botticino - Società Cooperativa Valverde, La Cima e Società Savio - escluse dal bando di gara per lo sfruttamento delle cave dell’Ate 03 (sinistra Rino). Congelati dunque gli effetti della sentenza del Tar del 3 maggio favorevole al Comune, in attesa del giudizio di merito dell’udienza del 6 giugno. Tutto fermo, dunque. Anche la nomina della commissione di valutazione e l’apertura della busta dell’offerta tecnica sono state «sospese a data da destinarsi». La vertenza ruota attorno a sentenze del Tar contraddittorie. Citando solo le più recenti, ad agosto del 2018 i ricorsi presentati dai privati erano stati in parte rigettati dai giudici amministrativi, che avevano considerato «legittimo l’istituto della concessione» e avevano individuato nello strumento di gara «la giusta soluzione per determinare il gestore», riconoscendo la bontà delle scelte della Giunta guidata da Donatella Marchese. In riferimento invece ad altri aspetti del bando, quali la scelta di affidare la gestione dell’intero ambito estrattivo in un lotto unico e l’imposizione del quantitativo minimo di escavazione, il Tar aveva ritenuto necessario un approfondimento. NELLA SENTENZA del 3 maggio il Tar aveva riconosciuto che «l’impianto delle gare ha come obiettivo da un lato massimizzare il risultato economico, come è giusto da un punto di vista manageriale, dall'altro salvaguardare il lavoro, la sicurezza e l'ambiente». Il sindaco Donatella Marchese aveva affermato del resto che «sventrare la montagna con un altro fronte di cava e realizzare un'altra strada con i costi esorbitanti che avrebbe comportato in termini economici e ambientali, come previsto dal Piano Pinzari del 2013 costato 80 mila euro, non è mai stata ritenuta una strada percorribile dal nostro esecutivo». Secondo il Tar, «la presenza di un unico responsabile della gestione dell’intero bacino di scavo migliora la sicurezza delle condizioni di lavoro». «Il fatto che il Tar abbia dato ragione al Comune per il ricorso sull’Ate 03, mentre una precedente sentenza relativa all’affidamento dell’escavazione nell’Ate 02 aveva accolto le istanze delle aziende, costringendo la Giunta a stralciare la delibera, è singolare - osserva Giampietro Tagliani, segretario della sezione di Botticino della Lega -. Come può essere, se i due riferimenti sono gli stessi?». Resta il fatto che la scelta del Comune di optare per un mandatario unico ha provocato l’esclusione dal bando di tre aziende storiche. «Fino al 1982 la gestione dell’intero bacino era affidata alla Fratelli Lombardi - spiega Claudio Bresciani, amministratore della Cima -. Successivamente, il giacimento era stato suddiviso in unità di cava, assegnate in percentuale a sei imprese. Fatto il bando di gara nel giugno 2018, il primo step erano i requisiti di ammissione: bisognava garantire un’attività estrattiva di un milione e 6 mila quintali l’anno, la media prodotta prendendo in riferimento i cinque anni precedenti. Ma il calcolo è frutto di un errore madornale, perchè sono state prese in considerazioni le produzioni sia del lato destro che del sinistro del Rino. I quantitativi richiesti non sono mai stati raggiunti dalle sei aziende dell’Ate 03 attualmente nel bacino. Lo dimostra il fatto che le aziende potenzialmente vincitrici del bando di gara hanno dovuto utilizzare i quantitativi di una consociata che si trova a Massa Carrara. Sono state escluse tre storiche piccole e medie aziende». Per raggiungere il milione di quintali richiesto, continua Bresciani, «sarebbe bastato chiedere l’avvalimento, ovvero creare una partnership con un’azienda che opera nel bacino, visto che le 6 imprese insieme raggiungevano già una quota intorno ai 900 mila quintali di estratto». «Ma purtroppo l’unico interesse è stato quello di creare un mercato monopolista - aggiunge Tagliani -. Savio e La Cima avevano manifestato il desiderio di partecipare al Consorzio fin dal 2016, ma non è mai stata data risposta». Bresciani va oltre. «Quando si parla di riassunzione del personale delle tre aziende escluse, si afferma il falso. Nell’offerta presentata dal Consorzio Stabile, uno dei requisiti è che assumerà 50 dipendenti più due “fuochini“, che sono i tecnici addetti all’esplosivo. Attualmente nel bacino marmifero ci sono 106 dipendenti e in media 2-4 fuochini per ogni attività estrattiva. Il che significa che la metà resterà a casa, e inevitabilmente saranno quelli delle tre aziende escluse». Anche sulla scelta dei commissari, Bresciani precisa che «è stato presentato un esposto perchè alcuni soggetti non hanno i requisiti per far parte della commissione per incompatibilità e conflitti di interesse. Sono prevalse le beghe sui problemi reali legati a un mercato in crisi e di aziende purtroppo ingessate. Ha prevalso la conflittualità sulla scelta di fare fronte comune. E i risultati negativi si vedono». •

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