«Ingiusto arricchimento» Una stangata in appello

Una suggestiva immagine dell’ex convento di Santo Stefano acquisito dal Comune nel 2010 esercitando un diritto di prelazione
Una suggestiva immagine dell’ex convento di Santo Stefano acquisito dal Comune nel 2010 esercitando un diritto di prelazione
Una suggestiva immagine dell’ex convento di Santo Stefano acquisito dal Comune nel 2010 esercitando un diritto di prelazione
Una suggestiva immagine dell’ex convento di Santo Stefano acquisito dal Comune nel 2010 esercitando un diritto di prelazione

Senza fine l’estenuante battaglia legale sull’immobile di Santo Stefano a Collebeato. Nelle scorse settimane è stata notificata al Comune la sentenza della Corte d’Appello che ha condannato l’ente a pagare quasi 1 milione di euro al precedente proprietario per «ingiustificato arricchimento». «Un nuovo passo che porterà a dilatare ulteriormente i tempi di chiusura della vertenza in corso da più di un decennio tra il Comune e l’ex proprietà - spiega Davide Gasparetti, assessore all’Urbanistica - periodo nel quale l’amministrazione comunale ha cercato in più riprese un accordo». Il trasferimento dell’immobile alla proprietà pubblica è avvenuto a seguito dell’esercizio del diritto di prelazione che l’amministrazione comunale ha esercitato nel febbraio 2010, dopo che dal ministero dei Beni culturali era giunta la comunicazione che il Comune avrebbe potuto acquistare il bene per poco più di 100 mila euro. Il precedente proprietario, infatti, aveva venduto Santo Stefano per lo stesso importo nel 1999 dandone però notifica soltanto nel 2009. Sostanzialmente, il Comune si era aggiudicato l’ex convento alla stessa cifra venduta esercitando il diritto che gli spettava. «In relazione alla prelazione esercitata dal Comune il privato aveva proposto ricorsi in sede amministrativa e in sede civile - continua l’assessore - sia a livello amministrativo, con sentenza del Tar del 2011 e sentenza del Consiglio di Stato del 2014, sia in sede civile, con sentenza del Tribunale di Brescia del 2013, sono state respinte le domande relativa all’illegittimità dei provvedimento adottati dal Comune e anche la domanda subordinata di indennizzo per miglioramenti». Neppure la Corte d’Appello ha posto alcuno rilievo in merito alla legittimità amministrativa. In merito alla richiesta di indennizzo per opere di miglioramento effettuate successivamente alla vendita, nella sentenza della Corte d’Appello «non si può chiedere per esse indennizzo». Tuttavia viene per la prima volta rilevato un «ingiustificato arricchimento» da parte dell’ente pubblico. «Il Comune, esercitando il diritto di prelazione - si legge nel dispositivo - ha acquisito la proprietà di un bene che aveva un valore esiguo al momento della vendita originaria e che è stato aumentato in virtù dei lavori di ristrutturazione effettuati a cura e spese della società acquirente. Ne deriva che l’ente locale ha realizzato un ingiustificato arricchimento». Sulla base dell’ultima sentenza della Corte d’Appello il Comune dovrà pagare 763 mila euro per capitale rivalutato e per 167 mila di interessi. La causa civile arriverà in Cassazione, l’amministrazione confida che il terzo grado di giudizio riconosca quanto già affermato dalle tre sentenze precedenti che non hanno mai messo in discussione la correttezza degli atti comunali.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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