Costretti a vegliare in casa la bara da giorni

Dal 18 marzo una famiglia musulmana veglia un feretro in casa
Dal 18 marzo una famiglia musulmana veglia un feretro in casa
Dal 18 marzo una famiglia musulmana veglia un feretro in casa
Dal 18 marzo una famiglia musulmana veglia un feretro in casa

Giuseppe Spatola La madre è morta il 18 marzo, ma non essendoci una sezione musulmana al cimitero del paese, i familiari stanno vegliando il feretro in casa aspettando che qualcuno trovi una soluzione. La situazione potrebbe sbloccarsi stamattina grazie agli amministratori locali, che per porre fine a una situazione paradossale, hanno messo a disposizione una sepoltura vicino al camposanto, dove sistemare la bara temporaneamente. QUELLO CHE sta vivendo la famiglia macedone è uno strazio imposto da una burocrazia miope e da regolamenti contraddittori. Il feretro è in ostaggio infatti di codici, codicilli e misure straordinarie anti-virus. Non può essere trasferito in Macedonia, ma neppure inumato nel cimitero islamico di Brescia, disponibile solo per i musulmani residenti in città. Le agenzie funebri faticano ad orientarsi nella giungla di divieti e prescrizioni, e intanto i giorni sono passati. A denunciare la situazione è stato Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia. «Mi è stata segnalata una situazione drammatica a Pisogne, dove una famiglia musulmana è costretta a stare nella propria abitazione da una settimana con la madre, morta il 18 marzo, chiusa in una bara in casa - ha raccontato il presidente -. Questo perché il Comune è privo di un’area di sepoltura per musulmani, di cui invece è dotata Brescia, ma che non autorizza la sepoltura». Non solo. «Spero che le autorità competenti si muovano al più presto per permettere una degna sepoltura a questa donna. Questa emergenza che stiamo vivendo tutti non deve costringerci, quando possiamo, a trascurare l’umanità che è l’essenza della nostra società», conclude Lafram. L’UNIONE DELLE Comunità Islamiche d’Italia si era già attivata nei giorni scorsi chiedendo un intervento da parte del governo e dell’Anci, per poter agevolare la sepoltura dei defunti musulmani nei cimiteri islamici già esistenti, anche se provenienti da altre province o regioni. Ma quello di Pisogne è un caso limite, scandito da una serie ostacoli burocratici resi ancora più invalicabili dalle misure anti-coronavirus. Dopo il decesso per malattia della madre, la figlia e il marito si sono scontrati col primo muro di gomma. Il medico si è rifiutato di certificare il decesso perchè nella casa c’era una persona in quarantena sospettata di aver contratto il Covid-19. LA FAMIGLIA si è rivolta a un’agenzia funebre islamica, che ha assicurato il rimpatrio del feretro in Macedonia. Ma non è stato possibile proprio in virtù delle norme di profilassi sanitaria. I parenti della defunta hanno incaricato una seconda agenzia, che stavolta ha dovuto fare i conti con il regolamento del cimitero islamico di Brescia, l’unico in provincia che tuttavia autorizza l’inumazione solo dei musulmani residenti in città. In verità la norma non sarebbe così rigida, ma ancora una volta l’iter per la sepoltura si è bloccato. Il sindaco Federico Laini e l’assessore alla Cultura Giovanni Bettoni si sono prodigati rivolgendosi ad ogni livello istituzionale, fino alla prefettura. Non avendo avuto risposte chiare, gli amministratori ieri sera hanno deciso di muoversi autonomamente. E forse anche per la famiglia macedone e per la loro defunta ci sarà pace. Ha collaborato Alessandro Romele

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