Nel laboratorio fantasma cinese
gli «sfruttati» erano italiani

Artogne: i carabinieri nel laboratorio di abbigliamento clandestnoLe operazioni di controllo della merce prodotta
Artogne: i carabinieri nel laboratorio di abbigliamento clandestnoLe operazioni di controllo della merce prodotta
Artogne: i carabinieri nel laboratorio di abbigliamento clandestnoLe operazioni di controllo della merce prodotta
Artogne: i carabinieri nel laboratorio di abbigliamento clandestnoLe operazioni di controllo della merce prodotta

Potremmo definirlo un segno della crisi e della globalizzazione insieme; di quel percorso fatto anche di superamento delle barriere protezionistiche e delocalizzazione della produzione che purtroppo sembra portare soprattutto sfruttamento - questo sì senza regole - e ulteriore povertà al posto del benessere sbandierato dai promotori del processo. Come interpretare altrimenti la scoperta dell’ennesimo laboratorio clandestino cinese, attivo in questo caso nella bassa Valcamonica, nel quale i dipendenti più numerosi non erano orientali ma cittadini italiani impiegati in una linea di confezionamento?

È SUCCESSO nelle ultime ore sul territorio di Artogne, in quella parte di bassa valle che per molti anni ha prosperato anche grazie a tanti, piccoli laboratori di contoterzisti che hanno fatto la fortuna di marchi anche importanti dell’abbigliamento. Le mini fabbriche casalinghe originarie sono scomparse o quasi; ma qualcuno ha occupato la nicchia trapiantando qui la propria personalissima visione del mondo del lavoro.

L’operazione che ha scoperchiato il caso si deve ai carabinieri della stazione artognese affiancati dai colleghi dell’Ispettorato del lavoro di Brescia e del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Breno, e ha portato innanzitutto alla denuncia di una donna cinese di 52 anni, imprenditrice titolare di una impresa individuale con la sede legale a Prato, in Toscana, e quella operativa appunto ad Artogne: residente nella cittadina camuna, la donna è finita nei guai per aver violato la legislazione sul lavoro.

Nella sua piccola fabbrica fantasma, sconosciuta a tutti gli uffici di controllo, si confezionavano vestiti, e quando i carabinieri sono arrivati hanno trovato alle macchine 11 persone, titolare compresa, 7 delle quali, appunto, di nazionalità italiana e tutte residenti in Valcamonica, e 3 cinesi residenti in paese in regola con i permessi. Tutti i dipendenti erano rigorosamente in nero, niente contributi e niente assicurazione, e l’officina stessa è risultata sconosciuta al Comune.

Non è finita: l’azienda fantasma ospitava anche altri tre immigrati arrivati dall’estremo Oriente, uno dei quali privo di permesso di soggiorno, che stavano riposando in una improvvisata stanza da letto dopo che, verosimilmente, avevano effettuato un turno di lavoro notturno.

Come è finita? Alla titolare è stato notificato un provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale per aver impiegato personale non risultante da documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro; inoltre le è stato contestato l’impiego di personale lavorante senza preventiva comunicazione agli enti preposti.

NON SOLO: la 52enne è ora inquisita anche per aver reclutato lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno o con un permesso senza richiesta di rinnovo nei termini previsti. Infine, una ragazza di nazionalità cinese risultata clandestina scoperta nel laboratorio è stata accompagnata nel Centro di identificazione ed espulsione di Roma, e al termine dell’operazione i militari hanno comminato sanzioni amministrative per 35 mila euro.

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