IN TRIBUNALE

Caso Bozzoli, verso la sentenza d'appello: gli indizi, i dubbi, i nodi irrisolti

di Mario Pari
L'accusa ha chiesto la conferma dell'ergastolo per il nipote Giacomo. La difesa, l'assoluzione: «Carenze probatorie, logica ed intuizione non bastano»
Giacomo Bozzoli si mette le mani nei capelli alla lettura della sentenza che lo condanna al fine pena: mai
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Processo appello Bozzoli

Ci saranno repliche e controrepliche. Poi, venerdì 17, sarà il giorno della sentenza. Una pronuncia di secondo grado, l’ultima sul merito in una vicenda iniziata poco più di otto anni fa e arrivata alle battute finali del processo di secondo grado.

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Il processo d’appello nei confronti di Giacomo Bozzoli, condannato in primo grado all’ergastolo con l’accusa d’omicidio dello zio Mario Bozzoli di cui si persero le tracce l'8 ottobre 2015, nelle scorse settimane ha registrato le richieste d’accusa e difesa: conferma dell’ergastolo per la prima e assoluzione per la seconda.

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Le richieste dell'accusa

Il pg Domenico Chiaro, nella requisitoria ha sottolineato che è un processo con la prova indiziaria, ma per questo «non è un processo di serie B. La prova indiziaria è così valida che può essere usata nei casi di omicidio senza cadavere».

Venendo al caso di Marcheno, il magistrato evidenzia che «la fonderia era controllata da impianti di videosorveglianza che consentono di dire che Mario Bozzoli non è uscito con le sue gambe o con l’auto». Quindi, conclude il pg: «Non ci sono spiegazioni alternative all’omicidio, di certo non il suicidio. Mario non aveva alcun motivo per uccidersi, era in una fase della vita favorevole, di lì a poco avrebbe visto i frutti dell’impegno economico». In quanto alle telecamere, chiede il pg: «perché dobbiamo spostare una telecamera che consente di vedere tutto il movimento del reparto fonderia, su una sola parte?».

E sulla distruzione del corpo: «Riteniamo che l’introduzione del corpo sia avvenuta qualche istante prima della fumata anomala».

Sulle 12 telefonate di Mario Bozzoli a Giuseppe Ghirardini, operaio della fonderia di Marcheno: «Impensabile che Mario presti denaro e dopo pochi giorni chieda la restituzione con insistenza». Nell’intera vicenda non può non ricoprire un ruolo rilevante la morte dello stesso Ghirardini: «Il suo suicidio non va trattato di sfuggita, sapeva che sarebbe toccato a lui dopo che avevano sentito i colleghi». Il movente di Giacomo, sempre secondo il pg Chiaro, «è granitico». E fa riferimento al telefono dell’imputato «in cui il nome di Mario era memorizzato con “merda“, una delle tante conferme».

I legali della moglie e dei figli di Mario Bozzoli, gli avvocati Vanni e Vieri Barzellotti hanno sottolineato che «Mario non merita d’essere sporcato con delle insinuazioni» e «Giacomo deve giustificare il ritorno al forno. L’idea è la produzione di bral, ma quella era una produzione residuale per la Bozzoli. Il bral nasconde la vera ragione del ritorno».

La difesa

L’avvocato Luigi Frattini, legale di Giacomo Bozzoli, sul tema del bral spiega che: «Già nell’atto di appello, alle pagine 48-50, la difesa dell’imputato aveva dimostrato come la scelta di cambiare la produzione avesse un’evidente finalità economico-produttiva, confermata tra l’altro dal consulente tecnico della pubblica accusa» .

E poi: «Nella memoria dei difensori delle parti civili e nella sentenza è stata omessa qualsiasi valutazione in relazione a un dato oggettivo già emerso durante le indagini preliminari: sia Oscar Maggi sia Akwasi Aboagye sia Giuseppe Ghirardini, dopo l’8 ottobre 2015, non hanno mai incontrato, né cercato di incontrare Giacomo e non hanno mai nemmeno parlato o cercato di parlare telefonicamente con Giacomo Bozzoli, pur essendo stati interrogati dai carabinieri in relazione alla scomparsa di Mario Bozzoli.

Evidentemente tutti costoro sapevano che Giacomo Bozzoli non era presente in fonderia quando si era verificata la fumata delle 19.18.30 e nei minuti precedenti, né avevano parlato con lui prima che tale fumata si verificasse».

Il legale conclude: «Insomma, il ricorso alla logica ed alla intuizione non può in alcun modo supplire a carenze probatorie o ad inefficienze investigative». Ora quindi non resta che attendere la sentenza di venerdì prossimo.

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