Ridotto in coma
dai rapinatori:
luce dopo 4 mesi

di Valerio Morabito
La casa in via Petrarca a Ghedi teatro il 24 gennaio scorso della brutale aggressione ai danni dell’elettricista di una banda di rapinatori
La casa in via Petrarca a Ghedi teatro il 24 gennaio scorso della brutale aggressione ai danni dell’elettricista di una banda di rapinatori
La casa in via Petrarca a Ghedi teatro il 24 gennaio scorso della brutale aggressione ai danni dell’elettricista di una banda di rapinatori
La casa in via Petrarca a Ghedi teatro il 24 gennaio scorso della brutale aggressione ai danni dell’elettricista di una banda di rapinatori

La speranza ha acceso una fiamma dell’intensità di un fiammifero, ma dopo quattro mesi di buio quella luce sembra un raggio di sole per la famiglia Scalvini di Ghedi. Francesco è stato trasferito dalla terapia intensiva al reparto di Riabilitazione della Poliambulanza. Un timido ma importante passo in avanti nell’angusta strettoia in cui è stato spinto esattamente quattro mesi fa da una banda di rapinatori che ha ridotto in coma il 37enne colpendolo con un corpo contundente mai ritrovato. Francesco Scalvini aveva sorpreso tre indivui che stavano svaligiando in via Petrarca la casa del padre Giancarlo rimasto ferito in modo meno grave insieme fratello Ignazio durante la colluttazione ingaggiata con banditi pronti a tutto: anche a uccidere. Francesco ha infatti rischiato di morire in quella fredda notte del 24 gennaio. I medici lo hanno salvato, ma la strada verso il ritorno alla normalità e tutta in salita. «Ne siamo perfettamente consapevoli - ammette papà Giancarlo -: non sappiamo se e quando mio figlio potrà tornare come prima. Ma Francesco è forte, siamo sicuri che ne uscirà. Fino ad oggi ha compiuto qualche progresso, risponde ad alcuni stimoli quando gli parliamo. Però, ancora, non apre gli occhi e non parla».

Giancarlo sta provando a darsi coraggio per infondere coraggio al figlio: è tornato a lavorare e appena può va a mangiare dalla sorella che abita dall'altro lato della strada. «Lavorare mi aiuta a tenere impegnata la mente», spiega mentre carica sul furgone alcuni utensili dal deposito allestito a piano terra della casa teatro del furto degenerato in aggressione. «Ma senza Francesco nulla è come prima - ammette Giancarlo Scalvini -: è un assenza dura da sopportare. Sono bastati pochi secondi a cambiare la nostra vita: è un pensiero che mi tormenta perchè cose simili non dovrebbero mai accadere». Sulla legge sulla legittima difesa, Giancarlo si è già pronunciato: «Lo Stato dovrebbe fare leva sulla prevenzione, dare più risorse umane e finanziare alle forze dell’ordine, non spetta ai cittadini doversi difendere».

La comunità di Ghedi è stata molto vicina in questi mesi alla famiglia Scalvini anche se in via Petrarca qualche residente osserva, «che le promesse sul potenziamento della sicurezza pronunciate dalle istituzioni sono evaporate e il Comune è stato lasciato solo in prima linea».

Le indagini sembrano in una fase di stallo: in verità gli inquirenti hanno una rosa di potenziali sospetti, in particolare di tre stranieri dell’Est già coinvolti poche sere prima del blitz a Ghedi in un inseguimento ingaggiato a bordo di un suv bianco fra le vie di Manerbio con una pattuglia del carabinieri di Leno. Il problema è rintracciare queste persone che, come capita spesso, potrebbero già essere rimpatriati nei Paesi d’origine. Una caccia ai fantasmi, insomma.

Un piccolo retroscena sulla vicenda, però, lo ha raccontato, durante un incontro sulla sicurezza a Mazzano il Comandante provinciale dei carabinieri di Brescia, Luciano Magrini, che ha affermato che «il cittadino deve collaborare con le forze di polizia ma non può sostituirsi alle forze dell'ordine, come di recente è successo a Ghedi dove un giovane dopo una drammatica colluttazione è rimasto gravemente coinvolto. Se in quel caso ci avessero chiamati, infatti, a poche centinaia di metri c'era una pattuglia che era intervenuta in un altro furto compiuto, probabilmente, dagli stessi ladri».

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