Circonvenzione
d’incapace. Chiesti 3
anni per due legali

di Paola Buizza
Un caso di presunta  circonvenzione di incapace   in tribunale
Un caso di presunta circonvenzione di incapace in tribunale
Un caso di presunta  circonvenzione di incapace   in tribunale
Un caso di presunta circonvenzione di incapace in tribunale

Un anno fa la decisione di un facoltoso pensionato di Limone che aveva lasciato tutto il suo patrimonio – oltre tre milioni di euro – alla sua badante e al figlio di questa, era balzata agli onori delle cronache a seguito di un'indagine della Finanza scaturita dalla segnalazione dei famigliari. Oggi la vita del 90enne - deceduto a dicembre 2016 - e soprattutto il suo stato psicofisico tornano a far discutere. Non per la vicenda testamentaria, che ha preso un suo percorso giudiziario, ma per due assegni staccati dallo stesso nei confronti dei suoi legali: un penalista – suo nipote – e un civilista. Assegni restituiti dai due professionisti non appena appreso d'essere indagati. «Ho suggerito loro di farlo così avrei chiesto l'archiviazione del caso» ha spiegato il pm Ambrogio Cassiani in aula. Poi, però, il giudice ha deciso comunque di rinviarli a giudizio. Si è così aperto il processo che vede al banco degli imputati i due avvocati con l'accusa di circonvenzione di incapace. Nei loro confronti il pm ha chiesto ieri la condanna a tre anni di carcere. Di tutt'altro avviso i difensori, Alessandro Asaro e Cristina Guatta, che hanno chiesto l'assoluzione piena per gli assistiti. L'UDIENZA HA ripercorso gli ultimi anni di vita del facoltoso albergatore. Nodo da sciogliere l'effettiva lucidità mentale dell'anziano nel momento in cui staccò gli assegni. Sono stati i figli, che hanno ritrovato le due matrici ognuna di 50mila euro a favore degli avvocati, a decidere di fare un esposto. Ed è stato proprio uno di loro a spiegare in aula le preoccupazioni per quel padre che, secondo loro, non era capace d'intendere e di volere - «non ci riconosceva e ci chiamava con altri nomi» - e per il quale avevano chiesto un amministratore di sostegno. «Inizialmente era d'accordo con noi - ha raccontato il figlio - poi ha improvvisamente cambiato idea, dicendo che volevamo portargli via la casa e i soldi». A metterli in allarme, racconta il figlio, anche il direttore della storica banca nella quale il padre teneva il soldi, che disse loro di tenere gli occhi aperti. Infine quella decisione improvvisa di prelevare tre milioni di euro e spostarli in un altro istituto. Nelle parole degli imputati, invece, è emerso il racconto di un uomo sì anziano, ma lucido e presente, che li convocò urgentemente il giorno in cui apprese che i figli volevano nominare un amministratore. «Lo zio era lucido - ha sottolineato uno dei due imputati, nipote del pensionato - per tranciare alla radice qualsiasi questione, gli abbiamo suggerito di fare una valutazione psichiatrica che ha poi certificato le sue ben conservate funzioni cognitive». Per il difensore Asaro, se avessero voluto circuirlo «non sarebbero stati così sprovveduti da farsi firmare un assegno tracciabile». «Che fosse capace d'intendere e volere lo dicono i medici. Lo era quando firmò gli assegni» ha aggiunto. Assegni per i quali, secondo il pm, sarebbero state rilasciate fatture prive di notule esplicative tali da giustificare l'importante cifra. «Sulla congruità della parcella si potrà discutere in sede civile, non qua – ha aggiungo l'avvocato Guatta per la quale nella condotta dei due imputati «non c'è alcun dolo». Il processo è stato aggiornato all'11 aprile giorno in cui arriverà la sentenza. •

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