Cuori e motori, uomini e macchine in lotta contro l’impossibile. Questo fu il Reparto Alta Velocità dell’Aeronautica, che a Desenzano scrisse pagine leggendarie della storia dell’aviazione tra il 1927, novant’anni fa, e il 1936.
NOVANT’ANNI: una ricorrenza che Desenzano ricorda con una mostra che sarà inaugurata domenica alle 11, alla galleria civica di palazzo Todeschini, aperta fino al 5 novembre, a cura dell’Associazione Arma Aeronautica con il patrocinio del Comune. Cimeli, immagini, simboli di un’epopea unica e irripetibile, che culminò il 23 ottobre del 1934 con il record mondiale di velocità fissato dal maresciallo Francesco Agello, volando a 709 chilometri orari su un apparecchio di incredibile bellezza: l’idrocorsa rosso Macchi Castoldi Mc 72. Un evento che fece scalpore in quell’Italia, quando il reparto aeronautico di Desenzano era come oggi la nazionale di calcio: un simbolo di supremazia tecnica e umana, in perenne competizione con aviatori inglesi, francesi, americani, come in una specie di Olimpiade aeromeccanica tra record, coppe, trofei. Era un’aviazione sportiva e cavalleresca, che poi la guerra spazzò via. Oggi si può guardare con critico distacco a quell’Italia, ancora permeata di cultura futurista e dannunziana, avvolta nella retorica militaresca dell’era fascista. Ma l’avventura di quei piloti e di quei meccanici, che a Desenzano lottarono per un record, fu soprattutto una grande avventura umana: far volare aerei all’avanguardia; mettere a punto motori di una potenza mai vista; domare quelle macchine anche a costo della vita. Lunga la lista dei piloti precipitati nel lago nei voli di prova: Monti, Bellini, Dal Molin, Motta, Neri, Maggi, Nicelli, Borra, Centurione, Sartori. Giù il cappello, dopo 90 anni. Che cosa resta a Desenzano? Il monumento «all’Alta velocità» in piazza Matteotti. Le vie cittadine e lo stadio intitolati ai piloti, l’Idroscalo in via di dismissione. I pochi idrovolanti rimasti, quattro in tutto, sono oggi al Museo nazionale dell’Aeronautica, sul lago di Bracciano. Lontani dagli occhi, per i desenzanesi, ma non dal cuore.