«Accusato di violenza sessuale da una figlia piena di rabbia»

La vicenda ha avuto come sfondo Gavardo
La vicenda ha avuto come sfondo Gavardo
La vicenda ha avuto come sfondo Gavardo
La vicenda ha avuto come sfondo Gavardo

Paola Buizza A due mesi dall'assoluzione che ha scagionato l'allenatore di calcio di Gavardo accusato dalla figlia di violenza sessuale e maltrattamenti, arrivano le motivazioni della sentenza con la quale il Tribunale lo ha reso uomo libero dopo un anno di arresti domiciliari. Il procedimento giudiziario nato in seguito a un tema scolastico della ragazza - all’epoca dei fatti minorenne - che aveva sollevato sospetti e preoccupazioni nella sua insegnate di italiano, si è concluso lo scorso ottobre con l’assoluzione per due capi d’accusa: violenza sessuale e maltrattamenti. Nel primo caso perché «il fatto non sussiste», nel secondo perché «il fatto non costituisce reato». Facendo un passo oltre la sintesi della terminologia giudica, le motivazioni ripercorrono il difficile rapporto della giovane all’interno della famiglia, soprattutto il conflitto con il padre il cui comportamento, descritto dalla figlia come «particolarmente aggressivo e vessatorio», aveva portato il Tribunale dei minorenni a disporre la custodia della ragazza in una struttura protetta. IL GIUDICE AVEVA disposto anche una perizia psichiatrica sulla giovane: era emerso un «disturbo di personalità borderline», ma anche la capacità di testimoniare, pur evidenziando «il concreto rischio di fenomeni distorsivi». Ora nelle motivazioni si legge: «Stupisce molto l’estrema facilità con cui la testimone ha rievocato episodi astrattamente dolorosi, o comunque imbarazzanti, senza alcuna connotazione emotiva». «È stato dato ampio risalto alla patologia della giovane, ma non solo - commenta l’avvocato Enrico Cortesi del Foro di Bergamo che ha difeso il padre con la collega Maria Elena Poli -. Sulle dichiarazioni della ragazza hanno inciso il cattivo rapporto tra i due e le insegnanti che, mi auguro in buona fede, hanno indotto la ragazza a raccontare cose che la facevano sentire al centro dell’attenzione». Accuse, quindi, dettate da «un forte risentimento» - il riconoscimento della paternità arrivato tardi, le critiche che lui faceva alla figlia per il modo in cui giocava a calcio, passione condivisa - considerato il quale «non può non prendersi in seria considerazione il possibile effetto di interazione della ragazza con le insegnanti, alla luce del bisogno di assumere un ruolo di vittima-eroe proprio della patologia», si legge ancora nella sentenza. «Forse le insegnanti dovrebbero limitarsi a fare le insegnanti. Nel momento in cui nasce in loro il dubbio di situazioni anomale, dovrebbero segnalarle a chi di dovere più che fare loro stesse le indagini», conclude Cortesi. •

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