Cinghiali, un vaccino è la risposta ai fucili

di Paolo Baldi
C’è un percorso a basso impatto possibile nella gestione dei cinghiali
C’è un percorso a basso impatto possibile nella gestione dei cinghiali
C’è un percorso a basso impatto possibile nella gestione dei cinghiali
C’è un percorso a basso impatto possibile nella gestione dei cinghiali

Se si osserva la realtà, al di là delle considerazioni di tipo etico, politico e anche giuridico che si possono fare sulla correttezza o meno delle scelte delle amministrazioni pubbliche (regioni in testa), l’esito delle tante campagne lanciate per il controllo «armato» delle specie animali che qualcuno chiama invasive si può riassumere in una sola parola: fallimento.

Vale per le volpi, per le nutrie e anche per i cinghiali, e i pessimi risultati, rappresentati dalla permanenza di un importante numero di esemplari pur a fronte di ricorrenti mattanze, sono dovuti principalmente a una realtà etologica che chi lavora scientificamente con la fauna conosce bene e che i politici, invece, continuano a ignorare. O forse a fingere di ignorare: gli animali braccati si spostano, i territori liberati da quelli uccisi vengono subito rioccupati da individui giovani e nei piccoli gruppi sopravvissuti alle fucilate, in particolare nel cinghiale, il tasso riproduttivo aumenta ottenendo quindi un effetto esattamente opposto a quello desiderato.

QUESTA REALTÀ scientifica, etologica, viene ricordata in appendice ai resoconti sui suoi studi anche da Giovanna Massei, una ecologa italiana di livello internazionale che lavora per l’«Apha», l’Animal and plant healt agency, una agenzia del Dipartimento inglese per l’Ambiente. Massei opera da anni nella realizzazione di un efficace sistema di contenimento di alcune specie selvatiche, in particolare degli ungulati (cervi, daini cinghiali) che superi appunto l’inutile pratica degli abbattimenti.

La parola magica è sterilizzazione, e i risultati verificati in laboratorio e sul campo di circa vent’anni di ricerche e sperimentazioni in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sono davvero importanti.

Bisogna prima di tutto spiegare che si è di fronte a una nuova generazione di farmaci che non hanno molto a che vedere con gli anticoncezionali tradizionali: la sperimentazione riguarda la produzione di principi dal funzionamento equivalente a quello dei vaccini; sostanze che scatenano il sistema immunitario degli animali contro le proteine coinvolte nel processo riproduttivo bloccandolo. Il vantaggio correlato, esattamente come nei vaccini tradizionali, è dato dalla durata dell’efficacia di un solo trattamento, che può arrivare a parecchi anni e a percentuali di sterilizzazione altissime: per il cinghiale si parla del 92% dei capi per un arco temporale che spazia da 4 a 6 anni.

L’attività dei ricercatori ruota attorno a due farmaci battezzati rispettivamente «Pzp» (porcine zona pellucida) e GnRH (gonadotropin releasing hormone), ed entrambi i prodotti sono stati sperimentati con ottimi risultati nella forma iniettabile. Trasferendo il discorso sull’utilizzo pratico, in questo momento l’unico impiego possibile sarebbe rappresentato da catture e trattamenti in gabbia, oppure dalla sterilizzazione a distanza con l’impiego di dardi sparati sui selvatici come quelli usati per narcotizzarli.

Entrambe le soluzioni sono però evidentemente complesse e costose, e potrebbero funzionare bene solo su territori delimitati e con pochi capi. Ma presto dovrebbe arrivare una svolta, perchè partendo dalla stessa materia prima si sta lavorando alla realizzazione di una versione gastroresistente dei vaccini, da distribuire nelle popolazioni interessate insieme a esche alimentari.

Di sicuro è già stato inventato un metodo di distribuzione selettivo, necessario per effettuare sterilizzazioni mirate. Come impedire infatti che il farmaco, che ha un ampio spettro d’azione, venga ingerito da specie di cui non si vuole ridurre il numero, azzerando per esempio la capacità riproduttiva del cervo al posto di quella del cinghiale? Ancora una volta l’etologia, ovvero la scienza e non l’improvvisazione legislativa, ha trovato una soluzione.

SI CHIAMA «Bos» (Boar operated system, e boar sta per cinghiale), ed è un palo di metallo piantato nel terreno lungo il quale scorre un cono: quest’ultimo copre un piatto metallico sul quale viene piazzato del cibo trattato, e per via del peso di 5 chili può essere alzato solo dai cinghiali attratti dalla «merenda» fuori programma.

Si tratta insomma solo di aspettare i tempi tecnici della produzione di un vaccino ingeribile, perchè il distributore esiste già.

NEL FRATTEMPO, perchè no, in attesa del ritorno in forze del lupo, predatore naturale di questa specie, sarebbe interessante registrare segnali politici diversi da quelli contenuti anche nella nuovissima legge per il controllo del suide selvatico varata dalla Regione, che oltre a contenere prescrizioni identiche a quelle che la Corte Costituzionale ha appena bocciato per ben due volte (ne parliamo a fianco) in altre regioni, oltre a dare nuovo e abbondante spazio alle fucilate prevede davvero poco sul fronte della prevenzione: per finanziare recinzioni elettrificate e altri sistemi per la protezione delle coltivazioni, la cui efficacia è stata ampiamente dimostrata, sono stati stanziati solo 20 mila euro (per il 2017); pochi se rapportati ai 300 mila previsti per i risarcimenti dei danni all’agricoltura e al territorio.

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