«Il protocollo medico
è l’unico strumento incisivo
in chiave di prevenzione»

di Alberto Armanini
Maurizio Casasco presidente Fmsi
Maurizio Casasco presidente Fmsi
Maurizio Casasco presidente Fmsi
Maurizio Casasco presidente Fmsi

Alberto Armanini

Il defibrillatore? È un falso problema. «È soltanto l’ultimo anello di una catena i cui punti fondamentali sono il protocollo Pss-d, obbligatorio per legge, e lo screening per il rilascio dell’idoneità per la pratica dell’attività sportiva». Parola di Maurizio Casasco, il presidente della Federazione Medicosportiva Italiana. La tragedia costata la vita sul campo di Mazzano ad Eugenio Rossetti ha drammaticamente riportato alla ribalta il tema della prevenzione e della sicurezza degli atleti. E il numero uno dei medici dello sport riflette sulla normativa in vigore e sul gap che ancora intercorre tra prevenzione e applicazione dei protocolli.

«LA VISITA DI IDONEITÀ sportiva ha ridotto le morti di oltre il 93,8% - premette Maurizio Casasco senza entrare ovviamente nel merito specifico del dramma che si è consumato a Mazzano -. Grazie allo screening completo sull’atleta oggi le percentuali di rischio sono infinitamente più basse che in passato. Ma esiste una pericolosa tendenza al ribasso da parte di molte società e di singoli soggetti: si preferisce risparmiare anziché investire sulla qualità delle visite mediche. È un punto su cui è fondamentale riflettere. Troppe volte ci si trova di fronte a casi di atleti che praticano l’attività agonistica con la visita scaduta o addirittura senza averla svolta». Non era certo il caso di Eugenio Rossetti, un agonista inserito in una società sportiva di altissimo livello come il BasketTrieste. Ma in generale per i non tecnici tutto il problema si risolve con l’invocazione del defibrillatore.

«NON È SOLO con il defibrillatore che si può salvare la vita ad un atleta colpito da un malore improvviso - spiega Maurizio Casasco -. Le società devono investire sul protocollo Pss-d, acronimo di pronto soccorso sportivo defibrillato, una serie di procedure che la Federazione Medicosportiva ha redatto da tempo, che il Coni ha approvato e che sono diventate obbligatorie per legge. Quelle linee guida non determinano solamente l’utilizzo del defibrillatore ma stabiliscono altri parametri e passaggi fondamentali per la corretta esecuzione di un soccorso». Perché non viene applicato nonostante sia legge? «Le società non sono ancora abbastanza sensibili a questi problemi - assicura il presidente Maurizio Casasco -. E alla formazione partecipano sempre troppo poche persone a loro riconducibili. Noi organizziamo corsi per laici, quindi per persone comuni sprovviste di una laurea in medicina, ma non registriamo ancora un numero soddisfacente di iscrizioni. E pensare che il costo, 80 euro per 12 ore di formazione, è veramente basso».

LA SALVEZZA, quindi, sta nell’applicazione dei protocolli e nella formazione. «Una formazione che deve essere fatta a 360 gradi su tutti gli organi e non punti l’attenzione solamente sulla questione dei defibrillatori, certamente stimolata anche da un impulso commerciale».

Perciò l'adozione obbligatoria del defibrillatore per le società sportive, che un recente decreto del ministro Beatrice Lorenzin ha spostato al 30 novembre, non è la sola via per risolvere una questione ben più ampia. Certo può davvero fare la differenza come accaduto a Manerbio il diciannove settembre 2015. Nella palestra di Manerbio si stava disputando un torneo amichevole fra Brescia e Casalpusterlengo. Alessandro Pagani, ala piccola 21enne della Assigeco si accasciò all’improvviso sul parquet in arresto cardiaco. Sulle tribune, ad assistere alla partita, c’era Laura Mereghetti medico di base di Manerbio. Scese sul campo e praticò il massaggio cardiaco al 21enne. Un intervento decisivo insieme a quello di Marco Moretti, medico del basket Brescia e del defibrillatore in dotazione alla palestra. Alessandro Pagani venne trasferito nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Manerbio. Dopo una notte di coma farmacologico, i medici lo dichiarano fuori pericolo.

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