Nelle memorie di Selvino c’è spazio per un’orceana

di Riccardo Caffi
L’edificio  di Selvino (Bergamo) al centro del libro dedicato all’insegnante di OrzinuoviLuciana  Paola Brognoli
L’edificio di Selvino (Bergamo) al centro del libro dedicato all’insegnante di OrzinuoviLuciana Paola Brognoli
L’edificio  di Selvino (Bergamo) al centro del libro dedicato all’insegnante di OrzinuoviLuciana  Paola Brognoli
L’edificio di Selvino (Bergamo) al centro del libro dedicato all’insegnante di OrzinuoviLuciana Paola Brognoli

C’è un pezzo di Orzinuovi nella particolarissima storia che ha segnato il Comune bergamasco di Selvino. Proprio l’ente locale, il Museo memoriale di Sciesopoli ebraica e l’autrice Aurora Cantini hanno dedicato un libro a una bresciana che ha lasciato il segno da quelle parti: si chiamava Luciana Paola Brognoli, era una maestra ed è al centro dell’opera «Nel cuore di Sciesopoli». La maestra Luciana era una delle ragazze orceane che negli anni Settanta, subito dopo il diploma magistrale, salivano per la loro prima esperienza educativa fino alla colonia di Selvino, dove le diocesi di Bergamo e Brescia organizzavano le vancanze estive per i figli dei contadini e degli operai. Lei però è sempre rimasta sull’altopiano bergamasco, dove si è sposata, è diventata mamma e insegnante di ruolo svolgendo una lunga e apprezzata missione didattica. Una missione interrotta soltanto dall’interminabile attesa, legata a una macchina, di un cuore nuovo che non ha purtroppo resistito al coronavirus arrivato nel marzo scorso anche a Selvino. Molto prima del suo arrivo, la colonia estiva era stata una casa vacanze per i balilla, ed era stata chiamata Sciesopoli dal gruppo rionale fascista Amatore Sciesa di Milano; poi, nel dopoguerra aveva accolto centinaia di bambini ebrei orfani sopravvissuti ai lager. Divenne così la colonia ebraica, il più importante orfanotrofio in Italia e uno dei maggiori in Europa, offrendo un rifugio e una possibilità di ritorno alla vita a più di 800 piccoli scampati all’orrore nazifascista. Come scrive Aurora Cantini, «I più piccoli nemmeno più si ricordavano la loro data di nascita. Bambini senza più nulla, senza nessuno, che non ricordavano niente delle tradizioni delle loro famiglie d’origine». Polacchi, ungheresi, rumeni e russi, a Selvino riprendevano a vivere prima di andare in Palestina. «Nulla capivano delle lingue parlate dai loro compagni e nemmeno dell’italiano - continua l’autrice -. Qui i bambini ripresero a studiare, a creare, impararono la lingua e la cultura ebraica, a esprimersi attraverso il teatro, la musica e la pittura». Ma rimanevano nei loro occhi gli orrori ai quali avevano assistito. Spesso i ragazzini si infilavano nel letto di un compagno e si addormentavano piangendo stretti a lui. •.

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