LA MOSTRA

Berengo Gardin, l'inedita armonia in 120 foto da Mosca all'Andalusia

di Elia Zupelli
Al Mo.Ca l'inaugurazione di «Cose mai viste». La mostra curata da Renato Corsini è nata da un'idea del celebre autore 92enne
Un altro scatto inedito di Berengo Gardin:  Milano, 1995  © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la FotografiaSiviglia, Spagna, 1964: una delle immagini della mostra e del libro pubblicato da Contrasto «Cose mai viste. Fotografie inedite»  © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Un altro scatto inedito di Berengo Gardin: Milano, 1995 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la FotografiaSiviglia, Spagna, 1964: una delle immagini della mostra e del libro pubblicato da Contrasto «Cose mai viste. Fotografie inedite» © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Lo sguardo di un maestro della fotografia internazionale attraverso oltre 120 fotografie inedite

Umanità variopinta in bianco e nero. Sorpresa nell’attimo, inattesa, come rapita in estasi, quindi restituita a questo nostro tanto amato e tanto odiato tempo presente con il valore aggiunto dell’inedito e del maivismo: centoventi fotografie di Gianni Berengo Gardin, minuziosamente selezionate attraverso un archivio pressoché sconfinato e mai pubblicate prima, riempiono di luce e di vita gli spazi espositivi del Mo.Ca – Centro delle nuove culture, in città, dove ieri è stata inaugurata la mostra programmaticamente intitolata «Cose mai viste - Fotografie inedite», curata da Renato Corsini e nata da un’idea dello stesso Berengo Gardin, poi concretizzata grazie alla preziosa ricerca iconografica della figlia Susanna. Promossa da Comune e Fondazione Brescia Musei in collaborazione con il Ma.Co.f - Centro della fotografia Italiana, la monumentale monografica si pone come ideale anteprima della sesta edizione del Brescia Photo Festival, in programma dal 24 marzo al 27 agosto, quest’anno dedicato al sintonico tema «Capitale».

Scatti dal 1954 al 2019 che parlano di mondi, culture e atmosfere diversi

«Prima penso e poi scatto, non viceversa»: tutte stampate per l’occasione in camera oscura e su carta ai sali d’argento, le foto di GBG – rimaste all’epoca sepolte da altre o semplicemente trascurate in quel momento – suggeriscono una rilettura del suo straordinario percorso, dagli anni ’50 del secolo scorso fino al qui e ora, arricchendone di mirabili novità l’imponente repertorio. Al centro, interpretati con sfumature espressive multiformi, i temi salienti della sua ricerca: dall’indagine sociale alla vita quotidiana, dal mondo del lavoro fino all’architettura e al paesaggio, con scatti dal 1954 al 2019 che parlano di mondi e culture, di atmosfere, situazioni e abbagli popolari, ora rudi ora delicati, folkloristici e poetici, pur sempre fedeli alla linea non concettuale o velleitaria tracciata dal maestro - «preferisco essere considerato un buon fotografo che un artista» -, fuoriclasse del bianco e nero e tra gli interpreti più rappresentativi del panorama nazionale e internazionale. Ecco allora in successione emotivamente vorticosa ma ordinata e razionale nell’allestimento sguardi sensibili affacciati su Svezia e Mosca, passando per l’immancabile Venezia (con un potente ritratto di Ugo Mulas durante la contestazione della Biennale d’arte dal profondo del 1968), l’amata Parigi, echi di un pellegrinaggio a El Rocío in Andalusia, prostitute con la sigaretta a Vienna, fino al colpo d’occhio di un gruppo d’operai tutti presi in «manovre» di ginnastica collettiva nel cantiere dell’aeroporto di Osaka (1993).

 «Quando esci senza macchina fotografica, c’è sempre un'inquadratura che avresti voluto fermare»

Accompagnata da un libro edito da Contrasto, la mostra (visitabile fino al 21 maggio; macof.it) conferma semmai ce ne fosse bisogno l’abilità di Berengo Gardin - veneziano anche se nato a Santa Margherita Ligure, 92 anni e non sentirli - di costruire un patrimonio visivo unico dell’Italia, e non solo, dal dopoguerra a oggi, caratterizzato da un’assoluta coerenza nelle scelte linguistiche e da un approccio «artigianale» al lavoro. Nelle inchieste sociali così come nei paesaggi, il soggetto principale della sua opera è sempre l’uomo. Colto nella relazione emotiva, psicologica e profonda con l’ambiente che lo circonda, strappato all’istante di luce per rimanere eterno, in un atto di devozione assoluta alla disciplina d’elezione, fonte d’ispirazione musa e compagna per sempre. Come sussurrò nei suoi diari biografici: «Quando mi domandano se ci siano ancora cose importanti che vorrei fotografare, rispondo che sono soddisfatto delle immagini realizzate. Ogni giorno però, se esco di casa, sento il bisogno di portare con me la mia macchina fotografica. Quando esci di casa senza macchina fotografica, c’è sempre qualche inquadratura che avresti voluto fermare sulla pellicola. Allora è meglio non rischiare. La fotografia, d’altronde, rimarrà sempre la mia vita». •.

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