AL CASTELLO DI PERNO

Mario Brunello ed Eva Zahn: elogio al suono «Fasser»

La presentazione del nuovo strumento nato nell’Officina da Camera di via Fratelli Ugoni. «I violoncelli creati dal liutaio bresciano raggiungono la qualità dei capolavori antichi»
I due violoncellisti Eva Zahn e Mario Brunello al castello di Perno hanno presentato per la prima volta la nuova creazione di liuteria del bresciano Filippo Fasser
I due violoncellisti Eva Zahn e Mario Brunello al castello di Perno hanno presentato per la prima volta la nuova creazione di liuteria del bresciano Filippo Fasser
I due violoncellisti Eva Zahn e Mario Brunello al castello di Perno hanno presentato per la prima volta la nuova creazione di liuteria del bresciano Filippo Fasser
I due violoncellisti Eva Zahn e Mario Brunello al castello di Perno hanno presentato per la prima volta la nuova creazione di liuteria del bresciano Filippo Fasser

Un mito e un nuovo talento, entrambi in carne e ossa, vicini dopo tanti appuntamenti dematerializzati. Al castello di Perno il violoncellista Mario Brunello era tra il pubblico in presenza, con la collega d’eccezione Eva Zahn: una presenza talmente forte da esser quasi iperrealistica. Forse perché gli ascoltatori non erano più molto abituati a vedere gli artisti in azione a pochi metri da loro, a sentire l'odore del legno dei violoncelli e della biblioteca che fu della casa editrice Einaudi, a percepire i rami degli alberi picchiettare sul vetro delle finestre lasciando una scia d'oro autunnale. E ad ascoltare quanto Brunello, oltre che esecutore e interprete di sensibilità che ci si azzarda a dire «ultraterrena», sia anche narratore da far impallidire schiere di novelli storyteller.
«Fino a 17 anni per me la musica era un altra cosa: fu il contatto con Franco Rossi del Quartetto Italiano uno dei semi che hanno fatto germogliare la voglia del suono. Prima il violoncello per me era un bicicletta - spiega con grande ironia il musicista di Castelfranco Veneto che, primo e unico italiano a vincere il «Ciajkovskij» a Mosca, commissionò al professionista bresciano Filippo Fasser la copia del suo settecentesco Pietro Santo Maggini di cui è felice di spiegare le vicissitudini -. Pensavo che bastasse andare più forte degli altri, fare più note. Sentendo Rossi suonare quel violoncello capii che il suono aveva invece un potere magico».
 Quello antico aveva un'originalissima testa di moro sul ricciolo: «Un grande neo sulla guancia, un fez calcato in testa, un affascinante atteggiamento bifronte» descrive Brunello. «Di solito le teste sono figure di leoni. Non certo un “nonno“ baffuto come questo, con gli occhi che ti scrutano. Mi diverto a vedere i due profili: quello benevolo guarda me, l’altro lato, arcigno, fissa i direttori!».
 L’innamoramento per lo strumento lo porterà a chiedere per anni a Franco Rossi di poterlo ottenere: la storia avrà rivoli dall’altra parte del mondo, ci sarà di mezzo l’ambasciata di Tokyo, il miraggio della conquista e un contratto disdetto. Ma alla fine il violoncello arriva. «E non ho ancora trovato nessun altro Maggini o Stradivari con questo suono: dieci anni fa chiesi a Fasser di costruirne uno analogo e posso dire che Filippo è riuscito a donargli le stesse qualità. Porto quello giovane in molti concerti, non mi ha mai tradito. Il suono che ho inseguito racchiude quel che chiamo il “cioccolatino“, anzi il “cremino“: uno strato di cioccolato, uno di panna e ancora cioccolato. Un suono scuro, dentro chiaro. E sopra di nuovo si scurisce».
 Lo nuova creatura diventa un «chiodo fisso» anche per Eva Zahn, per quel qualcosa nel colore «che entra in diretto contatto con la nostra idea di bellezza» dice Brunello: «E il terzo strumento che presentiamo stasera è come un bambino dall’anima antica» racconta Zahn. La strumentista, primo violoncello del Teatro Comunale di Bologna, ne chiese a sua volta una copia. L’altro, quello che per capirci chiameremo «Fasser I», sfoggiava una scultura di Giuseppe Bergomi. Quello appena mostrato al mondo – alcune sere fa al castello di Perno a Monforte d’Alba, oggi di proprietà dell’ex deputato e docente universitario bresciano Gregorio Gitti – reca alla sommità una Medusa scolpita da Livio Scarpella. E arrivando al nome di quest’ultimo scultore incontriamo ben quattro protagonisti bresciani nel dipanarsi della trama. La scelta del breve programma è magistrale: una suite di Gaspar Cassadò del 1920, che è arduo non credere contemporanea per la mescolanza perfetta di lirismo romantico e asciuttezza nelle dissonanze. Eva Zahn, formatasi all’inizio nella città natale di Friburgo, sa cogliere ogni istinto nascosto tra le righe della partitura. Giusta anteprima all’intenso dialogo Brunello-Zahn sull’Elegia dell’ucraino Valentin Silvestrov, prima di un bis commovente: spettatori rapiti dall'improvvisazione. Il violoncellista chiede alla partner musicale di costruire una «terraferma» con ogni possibile sfumatura di sol mentre lui parte verso il largo, tra mare e deserto, cesellando il suono sulle tracce del brano armeno «Havun Havun», di solito eseguito con il duduk, un legno ad ancia doppia.
 Il maestro ricama sopra questo implacabile basso un sentiero melodico imbevuto di esotismi: il suono dell'altrove, della nostalgia dell'assoluto e del viaggio nomade. •.

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