IL MAGICO DUOMO VECCHIO

di Chiara Comensoli
L’ingresso attuale al Duomo Vecchio: fu aperto nel 1571. Quello originale risultava allora già interrato
L’ingresso attuale al Duomo Vecchio: fu aperto nel 1571. Quello originale risultava allora già interrato
L’ingresso attuale al Duomo Vecchio: fu aperto nel 1571. Quello originale risultava allora già interrato
L’ingresso attuale al Duomo Vecchio: fu aperto nel 1571. Quello originale risultava allora già interrato

Il 15 settembre 1943, in una cripta del IX secolo, la storia profonda, antica, mistica incontra la sua sorella più giovane. Inizia così un dialogo epocale. Il Comitato di Liberazione Nazionale nasce qui, in segreto, sotto la protezione del vescovo Giacinto Tredici, in uno degli scenari più rappresentativi della storia della città, nel luogo più antico a noi giunto riguardante la cristianità bresciana. Come uno di quei giganteschi alberi monumentali che fanno ombra da secoli a chi giunge sotto i rami nodosi, la cripta di San Filastro è dal lontanissimo VI secolo, quando probabilmente era ancora un impianto termale romano, che conserva e inghiotte per sempre i segreti di chi, ai piedi delle sue colonnine imperiali di reimpiego, viene a sussurrarli alle sue vetuste orecchie. La cripta è il vecchio cuore, ancora pulsante, di una costruzione più complessa, che appare all’esterno come un anello fortificato e che oggi risulta essere uno dei più importanti esempi di rotonda romanica in Italia: il Duomo Vecchio.

RISALIRE le scale della cripta significa attraversare un tunnel oscuro che, dopo qualche secondo, ti rigurgita in un luogo molto più grande che somiglia ad una grotta scavata nella roccia: tu sei perfettamente al suo centro, sotto una cupola voluminosa; archi giganteschi di medolo sono disposti tutt’intorno e oculi e finestre senza vetri filtrano la luce che proviene dal mondo esterno, conferendo al grigiore della pietra la capacità di altalenare fra il color madreperla e il color cenere. Gli otto archi di medolo sono le cornici ambiziose delle cappelle che configurano l’anello del deambulatorio: il monumento funebre di Domenico de Dominici, precocissima opera di scultura di gusto rinascimentale in pieno quattrocento, la cappella della Madonna, l’altare dedicato all’Angelo Custode e, infine, la scala che, fino al 1708, conduceva alla torre campanaria crollata quello stesso anno. Ma la vera pietra preziosa di quest’anello si trova subito dopo l’entrata e la sua superficie liscia è rossa come quella di un rubino: si tratta del sarcofago in marmo vermiglio di Verona del primo signore di Brescia, il vescovo Berardo Maggi, vissuto nella seconda metà del ‘200. Egli riuscì a pacificare le due fazioni cittadine dei guelfi e dei ghibellini, in guerra tra loro, riunificando in sé il potere temporale e quello spirituale. Tale parallelepipedo marmoreo monoblocco ha un elevato pregio artistico, ma anche storico: i suoi disegni ci offrono uno spaccato della società duecentesca bresciana mostrandoci, per esempio, come la fila dei ghibellini fosse molto più lunga di quella guelfa in quell’epoca di contrasti. All’altra estremità dell’anello si stende un parallelepipedo molto più grande: il transetto, che corre parallelo alla struttura circolare del deambulatorio. In questo punto della cattedrale non basta gettare lo sguardo in alto o sulle cappelle, ma è necessario guardare anche ai propri piedi: alcune teche rivelano l’antica pavimentazione a mosaico della chiesa preesistente risalente al VI secolo. Grazie a questi testimoni muti sappiamo che un diacono di nome Siro offrì ai primi cristiani della città l’elegante rivestimento mosaicato di quella che, poco dopo la caduta dell’Impero Romano, si chiamava Basilica di Santa Maria Maggiore de Dom. Gli affreschi del presbiterio risalgono invece al Duecento, la grandiosa pala d’altare è cinquecentesca ed è opera del Moretto, l’organo fa parte della pregiata produzione della famiglia Antegnati che prestò ben 19 dei suoi figli, lungo tre secoli, alla causa della nobilitazione di un’arte che fino a quella ascesa era ritenuta «più meccanica che liberale».

ALLA DESTRA del presbiterio soggiorna l’altare del Santissimo Sacramento e, sua dirimpettaia, è una tela seicentesca del vicentino Francesco Maffei, che è una finestra su una antica piazza Paolo VI in cui ancora svettava la torre campanaria poi crollata. Alla sinistra del presbiterio si trova la cappella delle reliquie delle Sante Croci. Qui, lungo il corpo rettangolare del transetto, sfilano da secoli le opere dei migliori artisti della città: l’organo Antegnati, le statue dei fratelli Carra, opere di Romanino, Moretto, Palma il Giovane, Paolo Caylina il Vecchio. Tutti i lavori di questi insigni rappresentanti dell’arte bresciana si coalizzano per celebrare e valorizzare il Tesoro della cattedrale: la Reliquia Insigne, i tre frammenti della Vera Croce, protetti e salvaguardati dalla storica Compagnia dei custodi delle Sante Croci, fondata nel 1520 e ancora operante. Ma il vero tesoro, che gioca a nascondino fra le colonnine di reimpiego romane, i sarcofagi medievali, le tele rinascimentali e i busti manieristi è la densità dei secoli rinchiusi fra le pareti fortificate della cattedrale, che comprime in un unico spazio più di 14 secoli di una storia iniziata nel VI secolo d.C. Gli ultimi lacerti di decorazioni sbiadite che ancora resistono sulle pareti umide della cripta di San Filastro sono riusciti a vedere negli occhi i capi del Cnl, quando si incontrarono in gran segreto fra quelle stesse umide mura nel 1943. La storia è tornata a farsi visita e l’anello del deambulatorio può ora dirsi un cerchio che si è finalmente (e metaforicamente) chiuso. •

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