cultura

L’arte di Vezzoli alla Biennale di Venezia: «Io, maestro delle lacrime»

di Roberto Nardi
Le sue opere al Museo Correr in "un viaggio nella storia della pittura alla ricerca di un liquido che non si trova quasi mai"

«Io? Sono il maestro delle lacrime». Scherza il bresciano Francesco Vezzoli mentre cammina lungo le sale al secondo piano del Museo Correr, tra i dipinti di Lorenzo e Pietro Veneziano, Giovanni Bellini, Carpaccio, Antonello da Messina.

Dalle finestre entra la luce di piazza San Marco, della città che in occasione della Biennale d'Arte, intitolata «Stranieri ovunque» e che parla di artisti queer, indigeni, profughi, folk, torna a rimarcare il suo essere «città aperta», luogo che dà speranze al dialogo.

La mostra di Vezzoli

La città «con maggiori ponti sia fisici che culturali», a dirla con le parole dell'artista. Al Museo, la cui storia è legata al mecenatismo e lungimiranza di Teodoro Correr, morto nel 1830, Vezzoli ha allestito «Musei delle Lacrime». È una mostra promossa dalla Fondazione Civici e Venice International Foundation, a cura di Donatien Grau, fino al 24 novembre.

Abbraccia circa vent'anni della ricerca artistica di Vezzoli, con opere in parte realizzate per l'occasione.

Il "dialogo"

«Dialogo» è il filo rosso che accompagna il progetto. Dialogo tra i preziosi ricami e le citazioni di dipinti storici, le lucenti lacrime, che compongono i lavori dell'artista bresciano e il patrimonio artistico del passato; tra l'allestimento sempre attuale delle stanze di Carlo Scarpa e opere che si mischiano, quasi si confondono con i capolavori dei Primitivi, del '400 e '500 veneziano.

A distinguerle, a stare attenti, dei supporti dai colori tenui. «L'opera d'arte è questa. Ovvio che poi ci sono i miei lavori» dice Vezzoli. Il riferimento è al Correr, ai «capolavori assoluti della storia dell'arte» presenti, a Scarpa, al potersi avvicinare a opere che sono «senza cornici, vetro, filtri e distanziatori».

Il senso di tutto

L'artista ha colto l'opportunità di compiere «un vero e proprio viaggio nella storia di Venezia», dove il contemporaneo e il patrimonio passato non sono mai in contraddizione, allestendo quello che definisce «un'indagine sulle lacrime perdute nella storia dell'arte. Le lacrime le ho ricercate nella storia della pittura e non ci sono mai. Gli storici mi dicono 'ma sei sicuro?'. Poi mi tirano fuori una lacrima di Giotto, una lacrima di un Cristo. Ma se l'arte è anche la storia delle emozioni dovremmo avere almeno il 15% della storia della pittura con delle lacrime. Abbiamo lo 0,1%».

Eppure le lacrime dipinte da Giotto sono una tappa fondamentale per l'arte mondiale. Vezzoli da lì comincia il percorso dei «Musei». Al plurale perché è come se fossero due: c'è un andare che segue «le regole», del rispetto dei lavori del passato, e un altro, nello stanzone centrale, dove Vezzoli lascia campo alla fantasia, a una rispettosa irriverenza. Nel salone dove meno forte è il vincolo scarpiano «abbiamo creato una sorta di 'porno-discoteca' giocando con Mapplethorpe, Renoir, Botticelli, American Gigolò». Una struttura fa da teatro a questo mondo, alla stanza «dove c'è una esplosione emotiva», dove in un'opera l'artista dà il volto a San Sebastiano, in un'altra Richard Gere è al posto della Venere del Botticelli.

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