Storia, i leoni indomabili e la iena di Brescia

di Pino Casamassima
Una delle statue dei leoni del Castello in attesa di restauro: da qui nel 1849 gli austriaci bersagliavano gli insorti che resistevano con bombardamenti e granate
Una delle statue dei leoni del Castello in attesa di restauro: da qui nel 1849 gli austriaci bersagliavano gli insorti che resistevano con bombardamenti e granate
Una delle statue dei leoni del Castello in attesa di restauro: da qui nel 1849 gli austriaci bersagliavano gli insorti che resistevano con bombardamenti e granate
Una delle statue dei leoni del Castello in attesa di restauro: da qui nel 1849 gli austriaci bersagliavano gli insorti che resistevano con bombardamenti e granate

Dieci giorni. Dal 23 marzo all’1 aprile. Giorni consegnati alla Storia come Le X Giornate di Brescia, con tanto di medaglia d’oro come «Benemerita del Risorgimento nazionale». Il poeta veronese Aleardo Aleardi la chiamò «Leonessa d’Italia». Il contesto è quello che sta sotto il grande ombrello insurrezionale del 1848. Un ricordo, quello di quei giorni eroici ma terribili, che tende a sfumare in un tempo segnato da una velocità che troppo spesso lascia per strada il passato. In questo caso, un periodo denso di avvenimenti che scuotono tutta Europa con pulsioni in cui il popolo è protagonista nella speranza di riuscire a instaurare un nuovo ordine politico e quindi sociale. In Italia è marzo ad accendere le polveri. A Brescia, gli insorti fronteggiano il presidio austriaco lasciato in città dal maresciallo Radetzky. È una lotta forsennata e impari. Una resistenza che durerà dieci, lunghissimi giorni in cui i combattimenti si svolgeranno in ogni quartiere, ogni strada. Dal Castello, gli austriaci bombardano il perimetro urbano e le granate asburgiche bersagliano i luoghi più simbolici, a cominciare dal Palazzo della Loggia, in cui è tuttora visibile un foro nella parte inferiore del Salone Vanvitelliano. Capeggiati da Tito Speri (che sarà giustiziato a Belfiore cinque anni dopo), i giovani leoni della resistenza bresciana piegano i nemici a Porta Torrelunga e a Sant’Eufemia, mentre ai Ronchi, a San Barnaba e in Contrada Sant’Urbano la resistenza fa miracoli. Per piegare la resistenza, che terminerà con la sconfitta l’1 aprile, arriveranno altre truppe al comando del famigerato maresciallo Julius Jacob von Haynau, che si meriterà l’epiteto di «Iena di Brescia»: «Feci intensificare i bombardamenti e a causa del furore del nemico, decisi per una stretta rigorosa, che prevedeva la fucilazione sul posto di chiunque fosse stato trovato per strada armato. Comandai che non si facessero prigionieri e che le case degli insorti fossero dati alle fiamme. Devo dire che se avessi avuto io tremila di questi inferociti e indemoniati bresciani, Parigi sarebbe stata mia in breve tempo». La soldataglia è autorizzata alle peggiori nefandezze contro i civili, a cominciare dallo stupro sistematico. Nelle parole dello scrittore bresciano Giuseppe Nicolini, l’orrore: «I croati facevano brecce nei muri, entrando così nelle case, stuprando e ammazzando. Avevano bitume, acqua ragia, pece con cui bruciavano tutto, anche le persone». Racconta, Nicolini, che Carlo Zima, un ragazzo di 27 anni, cosparso di pece e dato alle fiamme, ebbe la forza di aggrapparsi a un croato perché bruciasse assieme; per salvare il suo uomo, un ufficiale cercò – inutilmente – di tagliare le dita dello Zima. La città fu piegata con la barbarie di un criminale di guerra, «La iena di Brescia». Una fama presto estesasi in tutta Europa, tanto che qualche anno dopo, trovandosi a Londra come ospite di un produttore di birra, appena le maestranze seppero che si trattava di lui, lo circondarono, insultandolo e gettandogli addosso quel che potevano: solo l’intervento della polizia salvò la «Iena» dal linciaggio.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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