l'intervista

Karadjov, direttore di Brescia Musei: «Pronti a dare voce agli artisti che non ce l’hanno»

di Gian Paolo Laffranchi
«Nessuna chiusura se non verso chi si fa strumento della dittatura». «Abbiamo uno scambio aperto di prestiti d'opere fra la Pinacoteca e San Pietroburgo: così si costruiscono ponti fra i popoli. Noi vogliamo fornire una piattaforma per il dialogo»
Stefano Karadjov, classe 1977, famiglia di origine bulgara, da tre anni è il direttore di Fondazione Brescia Musei
Stefano Karadjov, classe 1977, famiglia di origine bulgara, da tre anni è il direttore di Fondazione Brescia Musei
Stefano Karadjov, classe 1977, famiglia di origine bulgara, da tre anni è il direttore di Fondazione Brescia Musei
Stefano Karadjov, classe 1977, famiglia di origine bulgara, da tre anni è il direttore di Fondazione Brescia Musei

Il tema è più che mai d’attualità, spinoso come pochi: dove finisce l’arte e comincia la politica? Qual è il confine insuperabile, se ne esiste (sopravvive) uno? Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, terra aggredita e invasa dalla Russia, i casi di scuola non sono mancati. Si è passati dal divieto d’ingresso alla Scala per Valery Gergiev (non ha aperto bocca davanti alla richiesta di presa di distanza da Putin: così è saltata la sua «Dama di picche», titolo in linea con la sua risposta), all’intervento nel dibattito di Paolo Valerio, direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, che ha ribadito una priorità «Salviamo la cultura. Giusto dare lo stop a Putin, sono comprensibili le decisioni immediate per dare un segnale forte contro la guerra, però patrimoni mondiali importanti vanno rispettati». Patrimoni che non mancano di certo a Brescia, Capitale della cultura nel 2023 e al centro di operazioni preziose di dialogo attraverso l’arte. Stefano Karadjov, direttore di Brescia Musei dal 2019, è originario della Bulgaria, Paese segnato nel ventesimo secolo dal regime staliniano. Politica, cultura: ci sono molti modi di portare avanti le lancette della Storia, per questo nei mesi scorsi la Fondazione con il Comune cittadino ha dato ospitalità alla mostra «La Cina (non) è vicina» dell’artista dissidente Badiucao. Allo stesso modo, Brescia Musei ha varato uno scambio di prestiti internazionali di opere tra Italia e Russia: un’occasione di incontro e confronto tra due maestri della pittura, Velázquez per Ceruti. Tutto rientra nella stessa filosofia: «Dare voce all’arte. Non solo, ma anche a quegli artisti che non hanno la possibilità di esprimersi liberamente».

Direttore, come si affronta un momento del genere da uomini di cultura?

Innanzitutto attenendoci ai nostri valori. Non sono abituato a distinguere le persone in base a ragioni di appartenenza. Schemi di valutazione e sovrastrutture imposte da secoli di conflitti fanno parte della vita ma non sono amiche della cultura, che è un linguaggio trasversale.

Così trasversale da andare oltre nazioni e nazionalismi?

Sì: è universale, come la musica può parlare a tutti. Può riavvicinare persone divise dai sistemi politici. Noi dobbiamo lavorare sull’identità dell’individuo: ciò che conta è la libertà interiore. A questo serve la cultura, che non conosce barriere.

Il principio base?

Unire le persone intorno a una narrazione emozionale e spirituale. Non bisogna tanto chiedere opinioni politiche agli artisti, ma evitare che strumentalizzino la loro arte per compiacere un dittatore. Se questo avviene, è giusto discriminare chi si fa veicolo e metafora del regime. La prima mostra itinerante fu voluta dal nazismo e vista da 10 milioni di tedeschi: esponeva «l’arte degenerata» di avanguardie e artisti ebrei per denigrarla. L’arte merita rispetto: l’arte libera, da difendere e preservare.

Quindi non chiederebbe una presa di posizione politica a un artista prima di consentirgli di esporre?

Non avrebbe senso, rischierebbe anche di valere poco. Noi dobbiamo ragionare in direzione opposta: dare spazio all’arte che non può esprimersi, che soffre di alienazione politica e civile. La cultura può risolvere le differenze: adesso bisogna incentivare, non scoraggiare la lettura dei classici russi! Che ci possono appartenere come il Rinascimento italiano è anche cosa loro. La base del multiculturalismo è la condivisione. Le civiltà aperte non temono culture diverse, anche in contrasto con la propria. La base della pace, dell’armonia, è il contradditorio.

Cosa intende fare?

Dobbiamo cercare gli artisti che stanno soffrendo sotto le dittature. Siamo pronti ad ospitarli. Ora come ora è impossibile lavorare con gli artisti russi, vera vittima del regime; nostro compito sarà fornire una piattaforma per il dialogo. L’arte è una forma di diplomazia. Noi abbiamo aperto uno scambio di prestiti d’arte fra la nostra Pinacoteca e San Pietroburgo. Così si costruiscono ponti senza alimentare conflitti.•.

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