L'INTERVISTA

Lella Costa: «Felice di ripartire da Brescia nel nome di Franca Valeri»

di Stefano Malosso
Lella Costa: attrice, scrittrice, doppiatice milanese FOTO MASIAR PASQUALI
Lella Costa: attrice, scrittrice, doppiatice milanese FOTO MASIAR PASQUALI
Lella Costa: attrice, scrittrice, doppiatice milanese FOTO MASIAR PASQUALI
Lella Costa: attrice, scrittrice, doppiatice milanese FOTO MASIAR PASQUALI

E se, improvvisamente, la storia dell’antichità non fosse più raccontata da una voce maschile ma irrompesse sulla scena la voce di una donna, irriverente e illuminatrice, capace di riscrivere il concetto di verità? Scritto dall’indimenticata Franca Valeri, debutta a Brescia lo spettacolo «La vedova Socrate», diretto da Stefania Bonfadelli e prodotto dal Centro Teatrale Bresciano, in scena al Teatro Sociale alle ore 19.30 (15.30 la domenica) da martedì 18 maggio fino al 23 (biglietti da 27 a 13 euro, 0302808600 oppure biglietteria@centroteatralebresciano.it). Era il 2019 quando la grande Maestra del teatro invitò Lella Costa a interpretare Santippe, moglie del filosofo greco dotata di un’ironia corrosiva che prende la parola per le donne e ne assume la difesa, con accenti ironici e pungenti. Una prova attoriale che l’attrice e autrice milanese affronta con la consueta capacità drammaturgica, per un ritorno sul palcoscenico che ha il sapore di una ripartenza. Lella Costa, finalmente torna sul palcoscenico bresciano. Cosa prova? Avverto quasi un senso di incredulità. La domanda che continuo a pormi è: «Saremo ancora capaci di stare su quel palco?» Le confesso che ora come ora un po’ di timore c’è: il palcoscenico è un luogo meraviglioso, che ogni volta si rinnova, cambia, così come è cambiata la nostra vita con il Covid. Dunque sono particolarmente emozionata e anche grata di poter ricominciare a Brescia, una città con la quale ho un legame speciale. Nel 2019 Franca Valeri le ha affidato il ruolo di Santippe, quasi un passaggio di consegne. Fu una grande sorpresa. Io e Franca ci eravamo conosciute molti anni prima, è sempre stata un punto di riferimento per me, ma non avevamo mai lavorato insieme. Mi ha creato un’emozione incredibile sapere che avesse pensato proprio a me per questo ruolo. È anche una grossa responsabilità, perché «La vedova Socrate» è l’ultimo testo che ha scritto, nel 2002. Un monologo pervaso dalla sua voce. Mi ha commosso che abbia scelto proprio me: Franca non voleva un clone di sé stessa sulla scena, desiderava che il testo potesse vivere un’altra vita attraverso la mia interpretazione. Che ricordo personale ha di Franca? Ho sempre sentito un forte legame con lei. Entrambe molto milanesi, era un filo che ci univa, ci capivamo molto bene. Ho il ricordo di una donna coltissima ma che ha fatto della leggerezza e dell’inclusione la sua cifra stilistica. Sapeva incantare. Una volta feci un’intervista pubblica al Donizetti e arrivò lei, fragilissima: quando è salita sul palco è cambiata, diventata un’imperatrice. Incertezze, fragilità: tutto sparito. Alla fine è scesa con la grazia di una ballerina dalla scala a centro palco, mentre la guardavamo ammirati. Franca viveva del pubblico, che era la sua forza. La sua longevità di intelligenza nasceva da quell’amore. Una forza che attraversa anche questo monologo. Che sensazioni le ha dato la prima volta che lo ha letto? Mi sono detta: «Povera me!» È un testo complicatissimo, non segue un percorso preciso, torna spesso a una serie di incipit che si rincorrono. Come tutte le persone che sanno fare drammaturgia, Franca ha costruito un finale in crescendo sulla dignità e sull’autonomia femminile. E lo ha fatto senza militanza, che non era il suo linguaggio. Ci ha lasciato una grande lezione di teatro. Lo spettacolo dona una voce a Santippe, la moglie di Socrate. Il primo che ne ha scritto è stato Platone, e infatti, nel suo monologo, Santippe lo accuserà di aver sfruttato il pensiero del marito. Non è un ribaltamento del piano narrativo, ma piuttosto l’introduzione di un altro punto di vista, mai considerato prima. Nei secoli è mancata la narrazione del mondo da un punto di vista femminile. Nell’intuizione di Franca, far parlare Santippe è dunque restituire una possibile interpretazione del mondo dal punto di vista delle donne. Una restituzione che parla alle battaglie in corso per la parità di genere? Io penso, e credo anche Franca, che quando scrivi uno spettacolo teatrale devi creare anzitutto qualcosa di bello. Spesso, per la furia di decifrare tutto quello che ci circonda, l’attualità e la cronaca finiscono per appiattire tutto. Riuscire a farlo partendo dai classici, da storie lontane da noi ma in fondo universali, porta una libertà maggiore, uno sguardo più ampio. Franca non ha voluto strizzare l’occhio all’attualità, siamo noi che vediamo affinità tra quell’Atene e ciò che accade oggi, sviluppiamo riflessioni. Fare arte significa costruire tutto ciò senza mai appesantire, senza proclamare un messaggio ma lasciandolo scorrere. Rispettando la storia e il senso del teatro.

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