«Quando sarò capace di amare» Così Massini racconta a Gaber

di Stefano Malosso
Stefano Massini: classe 1975, fiorentino, scrittore e narratore dal vivo
Stefano Massini: classe 1975, fiorentino, scrittore e narratore dal vivo
Stefano Massini: classe 1975, fiorentino, scrittore e narratore dal vivo
Stefano Massini: classe 1975, fiorentino, scrittore e narratore dal vivo

«Non insegnate ai bambini/non insegnate la vostra morale/è così stanca e malata/potrebbe far male». Così cantava postumo Giorgio Gaber, in una canzone che è allo stesso tempo il testamento di un artista dal raro talento e l’ultimo atto di un uomo dalla passione civile incrollabile, capace di leggere tra le pieghe della società tutti i suoi mali, e con essi la speranza di un futuro luminoso. A distanza di vent’anni dalla sua scomparsa, è in arrivo al Teatro Odeon di Lumezzane martedì alle 20.45 lo spettacolo «Quando sarò capace di amare. Stefano Massini racconta a Gaber», nel quale lo scrittore tradotto in tutto il mondo intavola un dialogo con il grande cantautore milanese, in un dispositivo drammaturgico che intreccia storie, personaggi, incontri e memorie personali attratte dalla calamita delle canzoni del Signor G. «Gaber è stato una figura di assoluta libertà, al di là degli schemi - spiega Stefano Massini -. Una figura imprevedibile e quindi scomoda: tutto ciò che è prevedibile è comodo perché incasellabile in una struttura controllata, mentre lui è stato l’opposto. Tutte le persone che gli sono state accanto mi hanno raccontato questa sua libertà, ricordandomi certe figure di giullari medievali che potevano dire qualunque cosa, magari anche prendendosi l’etichetta di pazzi, ma permettendosi di dire la verità». In mezzo a tante celebrazioni e racconti agiografici, Massini non si propone di raccontare Gaber, bensì di raccontare a Gaber. «Io sono un narratore, e quello che posso fare è raccontare le storie che mi sono state evocate dalle sue canzoni, un modo tutto mio che Luporini mi ha detto sarebbe piaciuto anche a Gaber. Credo sia un’operazione di grande libertà espressiva, ho voluto ostinatamente attingere alle sue canzoni meno note, tralasciando quelle più famose. Mi interessava il Gaber più intimo, forse anche più psicanalitico, quello che racconta l’animo umano e le sue zone d’ombra. Così salgo sul palco e racconto quali storie reali mi sono venute in mente ascoltando i suoi pezzi». Una naturale colonna sonora, dunque, intercettata in scena anche dall’Orchestra Multietnica di Arezzo. «Abbiamo voluto coinvolgere questa ensemble costituita da sonorità completamente diverse: con me sulla scena ci sono musicisti che vengono dalla Colombia, dall’Albania, da ogni angolo del mondo. Enrico Fink ha composto un arrangiamento straordinario, le sonorità dei pezzi sono rilette in modo imprevedibile, con un nuovo sguardo sulle sue melodie. È l’imprevedibilità di Gaber che con il suo teatro-canzone riusciva a flettere la musica e il testo per creare teatro puro, opere che oggi continuano a colpirci con la stessa forza di ieri». Una forza, quella dello sguardo del Signor G., che oggi sarebbe preziosa. «Oggi Gaber si pronuncerebbe sulla follia della nostra assurda dipendenza dai social e dal web. È stato sempre spietato nello stigmatizzare l’assurdità di alcune mode, posando il suo occhio corrosivo su certe idiozie della società. Ci manca soprattutto per quello che potrebbe dire su questa sete continua di un like o di una condivisione, sui video da un milione di follower che sono conclamate forme di imbecillità collettiva. Sarebbe spietato, e anche per questo la sua voce manca più che mai».•.

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