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Uno, nessuno e Pattavina

di Stefano Malosso
L'attore decano del Teatro siciliano e nazionale sarà al Sociale dal 19 al 23 gennaio
Pippo Pattavina: decano del teatro siciliano e nazionale, interpreta Vitangelo Moscarda detto «Gengè»
Pippo Pattavina: decano del teatro siciliano e nazionale, interpreta Vitangelo Moscarda detto «Gengè»
Pippo Pattavina: decano del teatro siciliano e nazionale, interpreta Vitangelo Moscarda detto «Gengè»
Pippo Pattavina: decano del teatro siciliano e nazionale, interpreta Vitangelo Moscarda detto «Gengè»

«La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita». Esiste, nella letteratura novecentesca, una straordinaria capacità nel raccontare la perdita di senso dell’uomo contemporaneo, tra crisi identitaria e corpi sociali oppressivi. Una sensibilità anticipatoria, quasi profetica, che oggi torna in sala grazie allo spazio del palcoscenico teatrale. Approda in città «Uno, nessuno e centomila», nuovo allestimento tratto dal celebre testo del 1925 di Luigi Pirandello, con la regìa di Antonello Capodici e l’interpretazione di Pippo Pattavina e Marianella Bargilli, sul palco insieme a Rosario Minardi, Gianpaolo Romania e Mario Opinato per la Stagione del Centro Teatrale Bresciano, da mercoledì fino a domenica in scena al Teatro Sociale (tutti i giorni alle 20.30; la domenica alle 15.30, biglietti 27 e 15 euro).

Uno spettacolo che diventa irripetibile occasione di scoprire il pensiero pirandelliano, in una puntuta riflessione sull’essere e sull’apparire. «Pirandello è un autore incredibile e per lui provo un amore immenso - spiega Pippo Pattavina -. È probabilmente il più grande autore del Novecento, rappresentato in tutto il mondo. Negli anni, ho recitato una buona parte della sua opera, e ogni volta è un piacere estremo. Con questo spettacolo lo è a doppiamente, perché si tratta del suo ultimo romanzo, la summa del suo pensiero: con Antonello Capodici abbiamo lavorato sul testo, mantenendone la cronologia e l’io narrante, un flusso narrativo straordinario». Protagonista del racconto è Vitangelo Moscarda, «Gengè» per la moglie, un uomo ordinario fino a quando la donna osserva che il suo naso è leggermente storto, dando inizio a una crisi esistenziale che lo porterà a rimettere tutto in discussione, fino alla follia. «Vitangelo capisce di non conoscersi, ma che sono piuttosto gli altri a conoscerlo perfettamente. Inizia una ricerca affannosa di questi altri che lo abitano, con la voglia di distruggerli uno a uno. Il protagonista si trova proiettato in centomila maschere, fino a non riconoscersi più e ad arrivare alla pazzia, rinchiuso nell’ospizio che lui stesso ha fatto costruire per poter essere finalmente nessuno, lontano da ogni identità.

Il suo desiderio diventerà vivere attimo per attimo, senza entrare in nessuna maschera ma piuttosto assumendo le forme di un albero, un filo d’erba». Forse tra le riflessioni più amare dell’autore siciliano, «Uno, nessuno e centomila» racconta lo smarrimento dell’uomo di fronte al mondo e ai suoi meccanismi, la perdita della centralità granitica dell’identità in favore del fluire scomposto della Storia. Solo l’umorismo potrà, forse, sollevare dalle nevrosi del mondo contemporaneo. «È un testo attuale. Racconta il disorientamento dell’individuo nella società. Pensiamo di conoscerci, ma non sappiamo cosa rappresentiamo per gli altri. Pirandello dice “imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. L’uomo, quando si approccia a qualcuno, tende a mascherarsi: lo facciamo tutti, la maschera ci deforma e frammenta il nostro io. Non siamo mai completamente veri: Pirandello lo scrive in modo incredibile, e andare a teatro per riscoprirlo diventa importante perché il teatro è un piacere imperdibile, un rito, un atto d’amore».•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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