Uno «zoo» di estranei alla Palestra del teatro

«A casa allo zoo»: la locandina
«A casa allo zoo»: la locandina
«A casa allo zoo»: la locandina
«A casa allo zoo»: la locandina

Come cavie rinchiuse in una gabbia, gli animali umani si muovono all’interno del loro spazio abitativo come strani esperimenti da laboratorio: a un osservatore esterno, quegli esseri che tanto si affannano tra desideri, slanci di felicità, tic nevrotici e inevitabili delusioni potrebbero apparire come un tentativo dell’esistenza, un azzardo evolutivo. Prosegue la rassegna «Nello spazio e nel tempo. Palestra di teatro contemporaneo» del Centro Teatrale Bresciano, con lo spettacolo «A casa allo zoo» in scena al Teatro Sant’Afra da mercoledì fino al 5 febbraio, alle 20.30 a parte la domenica (15.30). Tratto dal testo del celebre drammaturgo Edward Albee nella traduzione di Enrico Luttmann, lo spettacolo vede la regia di Bruno Fornasari e l’interpretazione di Tommaso Amadio, Valeria Perdonò e Michele Radice, sul palcoscenico alle prese con due atti unici, «Vita casalinga» e «La storia dello Zoo», messi in dialogo dall’autore americano a distanza di quasi cinquant’anni uno dall’altro. «Trovo interessante lavorare su Albee perché per approccio drammaturgico e modalità di scrittura è molto affine a noi» spiega Bruno Fornasari. «La sua è una scrittura ambivalente, che racconta situazioni frammentarie dal forte peso emotivo senza rinunciare a risvolti ironici e persino esilaranti. Il testo inedito in Italia è il tentativo di raccontare in modo compiuto la storia di un gruppo di personaggi con grande distanza temporale, riuscendo a parlare dell’ingabbiamento e dell’incapacità di uscire dalla nostra condizione, qualcosa che abbiamo sentito molto forte durante i mesi della pandemia». Tutto accade in una tranquilla domenica a New York, quando Peter scopre che la moglie deve parlargli, improvvisamente. La crisi d’identità dell’uomo lega i due momenti dello spettacolo, lungo il filo di una violenza prima verbale e poi anche fisica. «Le relazioni al centro dello spettacolo ruotano attorno alle figure della casa e dello zoo, due rappresentazioni del concetto di gabbia. Lo zoo è uno spazio che ci rassicura, perché pensiamo che le belve feroci siano rinchiuse lì dentro, e non siano quelle che da fuori osservano. Nella casa, invece, quella dinamica si evolve: pensiamo di sapere sempre cosa vuole l’altro che vive accanto a noi, e speriamo che questa cosa sia reciproca. Ma spesso il rapporto è attraversato da una segretezza che ci rende l’altro estraneo, fino a realizzare che ci siamo rinchiusi con qualcuno che non conosciamo del tutto. La gabbia è un concetto pieno di sfaccettature tutta da scoprire». Il risultato è il ritratto di un’umanità isolata, disabituata a condividere con l’altro le emozioni. «C’è sullo sfondo una riflessione sulla solitudine, che per definizione non significa essere soli, ma essere incompresi, non ascoltati. Come in un monologo teatrale, il dialogo è anzitutto con noi stessi, e questa è la dimensione della solitudine. Abbiamo molto lavorato insieme agli attori per cercare di mimare il più possibile un dialogo privo di filtri allegorici o toni teatrali: il risultato è la rappresentazionedella dinamica tra persone che, pur volendosi bene, scoprono di essere due estranei». •. Ste.Ma.

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