L’editoriale

Assunzioni e squilibri nel lavoro

di Maurizio Tira

Fa sempre effetto leggere della richiesta inevasa di posti di lavoro da parte di molti settori produttivi. Secondo il dato dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, si tratta di 2,5 milioni di offerte di impiego da parte delle imprese che restano inevase, in testa il settore del turismo, ma anche quello della siderurgia. È evidente che il problema è complesso e molti fattori entrano in gioco. Il più evidente, il calo demografico: se non si inverte il trend, saranno solo i numeri a parlare. Tuttavia non è solo questo. Alcuni lavori non sono attrattivi, vuoi per la fatica fisica che evocano, per i turni che non sono più accettati, per gli ambienti di lavoro meno confortevoli, per l’insicurezza, giustamente non più socialmente accettabile. Inoltre, quale immagine viene veicolata dai media rispetto alle possibilità di successo? Non certo quella di uno skill artigianale, di un buon fabbro o un buon carpentiere. Peraltro, a volte troppo semplicisticamente si scarica la colpa delle offerte di lavoro inevase sulle giovani generazioni, meno avvezze al sacrificio, all’investimento nel lavoro e forse anche alla carriera. Del resto, le opportunità di «sbarcare il lunario», al sicuro di una ricchezza diffusa (ma per quanto ancora?) garantita dalle famiglie di origine, sono molto aumentate: sono nati lavori impensabili fino a pochi anni fa, con promesse talvolta miracolistiche di facili guadagni dal divano di casa. La digitalizzazione ha fatto perdere molta della manualità che si doveva esercitare per vivere. Ne deriva che l'accettazione sociale dei diversi lavori è talvolta ribaltata: si esaltano attività del tutto marginali rispetto agli effetti sul bene comune e si svalutano sia i mestieri indispensabili, che quelli che possono dare la soddisfazione della creazione di un oggetto fisico! Se poi si svaluta l'importanza del titolo di studio superiore o se - al contrario - se ne esalta l'utilità con una simultanea facilitazione nell'acquisizione, si crea la contraddittoria aspettativa che la laurea sia importante e peraltro è diventato facile conseguirla. A quel punto, da laureato, mi aspetterò di accedere da subito ad uno stipendio maggiore, perdendo anche l'umiltà necessaria per compiere i passaggi che portano a giuste retribuzioni. Sempre in questi giorni la stampa riporta il dato sull'enorme incremento degli iscritti alle università telematiche, che - non nascondiamocelo - sono talvolta spinti dalla tentazione di acquisizione facilitata (perlomeno nella modalità) di un titolo di «dottore». Le soluzioni al mismatch? Certamente un livello di formazione intermedia tra la secondaria superiore e l'università. Gli ITS in Italia non sono mai realmente decollati, ma non sono nemmeno facili da promuovere. Una maggiore promozione sarebbe utile anche per le lauree professionalizzanti, che prevedono un anno intero di tirocinio in azienda. Pochi le conoscono. Il tirocinio però necessita di tutoraggio, quindi di investimento in personale. Servono maggiori e più moderne strutture laboratoriali nelle scuole secondarie: non si può studiare su attrezzature obsolete e poi dover spendere due anni per il training in azienda. Dunque più risorse per la formazione: dal 4,1% del Pil bisogna raggiungere la media europea del 4,9%. Quali saranno gli effetti economici a lungo termine per il Paese se non si investe di più in educazione e sanità?

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