L’ESEMPIO STORICO

Cent'anni fa ce la fecero ora i fatti non i sogni

di Claudio Mafrici

Una bella idea, quella della metropolitana leggera fra Brescia e i Tormini. Bella, suggestiva. Ma non nuova. Perché cent’anni fa la metropolitana leggera in Valsabbia c’era già, attraversava tutta la valle del Chiese e arrivava fino a Idro. A trazione elettrica, quindi a zero emissioni si direbbe oggi. E ai Tormini un’altra linea, sempre elettrificata, scendeva a Salò e raggiungeva Gargnano. Quella, anzi quelle, erano le tramvie. Anche all’epoca Brescia era all’avanguardia in fatto di trasporto locale, con ben più di duecento chilometri di linee tramviarie extraurbane, che dalla città si innervavano nel cuore dei territori provinciali. I binari raggiungevano Orzinuovi, ma pure Pavone e Gambara, si allungavano fino a Montichiari e Carpenedolo, e da qui a Castiglione e Mantova da una parte, e a Lonato e Desenzano dall’altra. E poi c’era la Valtrompia, fino a Gardone, e il breve tratto fino a Gussago. Ovviamente la Valsabbia, che aveva anche una ferrovia, la Rezzato-Vobarno, costruita alla fine dell'Ottocento per le esigenze dell'allora Ferriera Migliavacca di Vobarno, in seguito Falck, uno dei simboli dell' industrializzazione bresciana a base di ghisa ed energia elettrica. Non dimentichiamo infine la ferrovia Brescia-Edolo, che non era considerata una tramvia solo perché l'armamento dei binari, più pesante, insieme ai raggi di curva, permetteva di sopportare carichi e velocità superiori. Insomma, quei binari cent'anni fa erano un fiore all'occhiello. Anzi, si direbbe con gli occhi di oggi, un esempio di sostenibilità. Un po' come avviene con la metropolitana di superficie cittadina, che fa di Brescia un esempio mai abbastanza citato di lungimiranza in fatto di sistemi di trasporto urbano. E allora, perché di quella rete non è rimasto nulla, e le linee ferroviarie sopravvissute all'epopea suicida del taglio dei «rami secchi» (Brescia-Edolo, Brescia-Cremona, Brescia-Parma, Brescia-Bergamo) resistono ma con non poche difficoltà? A dare il colpo di grazia alle tramvie sono stati la seconda guerra mondiale e il successivo boom del trasporto su gomma, che ha evidenziato il limite di queste linee, che correvano lungo le strade in sede promiscua con carretti a cavallo, biciclette, moto e solo molto più tardi vetture. La mancanza di una sede propria e la necessità di trasportare passeggeri e merci ha segnato la fine delle tramvie. Il successivo sviluppo, che ha creato una provincia sempre più policentrica, ha fatto il resto. All'estero, invece, le tramvie sono state in moltissimi casi trasformate in ferrovie locali, in sede propria, e sono oggi affermate linee turistiche. Nel nostro Paese la scelta politica è stata invece di incentivare i servizi automobilistici (in primis la corriera, la «bestia blu», che risaliva le valli in concorrenza, in molti casi, proprio con le tramvie) quando ancora l'auto privata era un lusso di pochi. Con i risultati che oggi tutti conosciamo, nel bene e soprattutto nel male. Non è un caso, quindi, che la suggestione di una metropolitana leggera allungata verso il Garda possa di nuovo sollevare entusiasmo e far sognare. Una bella idea che ha bisogno prima di tutto di numeri per essere messa a terra: per accedere ai fondi del Pnrr (che non sono infiniti) servono dati di traffico, potenzialità di trasporto, studi di fattibilità, valutazioni su costi e benefici che l'opera potrà avere. Progetti e non sogni. Quando, nel 1875, la Deputazione di Brescia stanziò i primi fondi per dotare la provincia di una rete di ferrovie locali, i progetti ebbero la meglio sui sogni (che furono innumerevoli). E le prime linee vennero aperte fra il 1881 e il 1882. Efficienza bresciana. In quegli anni lontani si riuscì a «fare squadra», grazie anche alla guida di un tecnico di altissimo profilo come l'ingegner Ferdinando Zanardelli, fratello dello statista, «regista» dello sviluppo di tramvie e ferrovie bresciane. Quindi, il prolungamento della metro verso la Valsabbia si può fare, ce lo dice il nostro passato. Ma per far camminare le idee servono le gambe. E per quelle non bastano i sogni..

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