Commedia sulle riforme

A cavallo tra commedia degli equivoci e gioco delle parti, in Senato e sul Senato sta andando in scena uno spettacolo buffo. Non c'è infatti attore di questa bizzarra rappresentazione che non abbia solennemente smentito se stesso. La recriminazione va avanti da settimane: «Non si cambia la Costituzione in quattro e quattr'otto, occorre tempo, bisogna confrontarsi». Era l'argomento principe della sinistra Pd e dei grillini. Giovedì della scorsa settimana la riforma è arrivata in aula e venerdì... venerdì l'aula è risultata clamorosamente vuota. Quelli che «il dibattito prima di tutto» se ne erano già tornati a casa per un fine settimana lungo quattro giorni. E poi. «I senatori devono essere eletti direttamente, è una questione di democrazia». Così sostenevano Bersani e compagni, e quando in ballo c'è la democrazia, ci mancherebbe, non si discute. Si apprende però che hanno accettato una mediazione al ribasso, in virtù della quale grazie a una legge ordinaria di là da venire i consiglieri regionali collocati in appositi listini si trasformeranno come d'incanto in senatori. Elezione diretta? No, indiretta. Ma fa lo stesso. C'è poi il caso Grasso. Il presidente del Senato dovrebbe rimanere neutrale e favorire il confronto tra le parti, ma dopo aver invece solennemente annunciato che non farà «il commissario liquidatore del Senato», Pietro Grasso ha tenuto in scacco l'istituzione per settimane senza rivelare ad alcuno che intenzione avesse sugli emendamenti al famigerato articolo 2 della riforma. Se li accoglie la riforma si arena e la legislatura si interrompe di conseguenza, in caso contrario si va avanti. Non li accoglierà, ma averlo saputo per tempo avrebbe quantomeno svelenito il confronto. Quanto al leghista Roberto Calderoli, quand'era ministro voleva semplificare il sistema «disboscando» la giungla legislativa e ora, grazie ad un algoritmo, si fa vanto d'aver presentato 82 milioni di emendamenti. Troppi? Ieri ne ha abbonati 10 milioni. C'è poi la promessa di un incarico di governo a Vasco Errani come premio per aver ricondotto alla ragione Bersani e la sinistra Pd, promessa che mal si concilia con le antiche accuse a Berlusconi di aver sedotto un pugno di senatori promettendo incarichi e denari. C'è la teoria in base alla quale «non si modifica la Costituzione a colpi di maggioranza» e c'è la pratica di una riforma che passerà senza i voti delle opposizioni. Insomma, ci sono mille contraddizioni e un'unica verità: meglio sarebbe stato abolire del tutto il Senato.

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