LA RICETTA

competenze e meno freni un asse per ripartire

di Ernesto Auci

Il mercato del lavoro sta registrando cambiamenti radicali che hanno colto di sorpresa gli esperti del ramo, gli imprenditori, e gli stessi sindacalisti che dovrebbero rappresentare proprio quei cambiamenti. Da un lato le imprese, specie quelle delle aree più produttive del paese, faticano a trovare lavoratori, dall’altro ci sono molti giovani che non studiano e non lavorano, a cui non piace il tipo di impiego che viene offerto, ma non sanno bene che percorso intraprendere per avere maggiore soddisfazioni nella vita. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati i segnali di un malessere profondo che comincia ora ad essere studiato mentre stanno nascendo le prime iniziative per superarlo. Ad esempio ha destato particolare impressione in boom di dimissioni volontarie da parte di giovani che hanno deciso di lasciare posti a tempo indeterminato e non lavori precari. È cambiata la cultura del paese e dei giovani in particolare. L’attrazione delle fabbriche è scarsa, a meno che non si tratti di nomi di grande prestigio, come la Ferrari , o start up di successo. C’è la ricerca di un migliore equilibrio tra vita privata e tempo di lavoro. E c’è anche la ricerca di maggiori guadagni che spesso le nostre aziende non possono assicurare perché troppo piccole o perché lavorano in settori tradizionali. Se a tutto questo si aggiungono le politiche pubbliche che sono completamente fuori quadro sia per quel che riguarda l’istruzione, sia per le norme del mercato del lavoro, sia infine per la politica di incentivazione fiscale. Che non offre sufficienti vantaggi ai giovani che al momento del primo ingresso al lavoro, devono certo affrontare difficoltà che rimanendo nella casa dei genitori riescono a evitare. Bisogna rimettere in contatto la domanda e l'offerta di lavoro. A questo servono le iniziative come quella promossa dal Gruppo Athesis che hanno proprio lo scopo di ricreare un feeling positivo tra azienda e lavoratore. Bisogna tener conto che in prospettiva, considerando il calo demografico, entro una decina di anni mancheranno in Italia almeno un milione di giovani. Di conseguenza occorre alzare al massimo il tasso di partecipazione al lavoro sia delle donne che dei cosiddetti NEET.Bisogna capire che i giovani non sono fannulloni, ma che hanno una cultura diversa da quella delle generazioni passate. I valori in cui credono sono in primo luogo quelli relativi alla crescita delle competenze, e quindi al potenziale percorso di carriera offerto dall'azienda. In secondo luogo guardano molto ai valori della sostenibilità e della integrazione o poi, come si è detto vogliono un maggiore equilibrio tra vita privata e vita di lavoro. Le nostre imprese sono spesso troppo piccole per offrire concrete prospettive di carriera. Ed è per questo che molti giovani italiani di talento vanno all'estero dove trovano grandi imprese che premiano molto il merito. Inoltre in Italia abbiamo sbagliato la politica scolastica abolendo le scuole professionali che per fortuna ora si stanno rilanciando grazie ai finanziamenti europei, per cui si è creato un pauroso mismatch tra le competenze richieste dalle imprese, specie quelle più dinamiche, e la preparazione dei nostri giovani. Si calcola che per questa ragione già oggi ci siano in Italia almeno 300 mila posti scoperti, nonostante le incertezze attuali. Infine la politica, e anche i sindacati, hanno varato norme per rendere sempre più rigido il mercato del lavoro, o hanno fatto leggi come il Reddito di cittadinanza che di fatto scoraggiano molti giovani a entrare nel mondo del lavoro perché la prima retribuzione è spesso troppo vicina al sussidio statale. Le iniziative delle imprese o delle loro associazioni per capire meglio l'evoluzione del mondo del lavoro, dimostrano che l'Italia è comunque un Paese dinamico, pieno di gente che ha voglia di fare. Occorrerebbe una politica che invece di ostacolare le imprese, ne favorisse la crescita e preparasse i giovani a un futuro positivo tramite il lavoro e non con l'elargizione di sussidi.

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