L’editoriale

Coronavirus e l’eredità del dramma

di Antonio Troise

Quattro anni, ma la ferita è aperta. Le immagini sono vivide. La lunga fila di camion militari con le bare dei morti di Covid a Bergamo è ancora impressa nella nostra memoria. Il simbolo più drammatico di una stagione terribile, con un bilancio complessivo che ha contato oltre 200mila morti: 5.600 tra Brescia e provincia. Basta chiudere gli occhi per tornare a quei terribili giorni di un Paese stordito e impaurito, chiuso nei suoi lockdown, fra strade deserte e balconi pieni. Un Paese che, però, proprio nell’ora più buia, è riuscito a ritrovare le ragioni di una comunità. Lo ha sottolineato con forza il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel giorno della memoria delle vittime del Covid, ricordando come «lo sforzo delle Istituzioni ad ogni livello, del personale sanitario, dei volontari e società civile, abbia consentito di arginare un nemico intangibile all'insegna di una rinascita globale». Un Paese che nell’emergenza ha ritrovato i valori dell’unità. Per il resto ci ha pensato il progresso scientifico e i grandi balzi in avanti compiuti dalle conoscenze mediche, che hanno consentito di realizzare un vaccino in tempi inimmaginabili appena un decennio fa. Perfino l'Europa ha avuto uno scatto, approvando quel grande piano per la Ripresa e Resilienza (il cosiddetto Next-Generation Ue) che ha dato ai cittadini del vecchio Continente l'impressione di una Unione che non dispensa solo sacrifici ma anche risorse economiche. Ma il pericolo è davvero superato? Abbiamo imparato la lezione del Covid? In realtà, le risposte non sono affatto semplici. Prima di tutto perché il virus è ancora fra di noi, continuerà a circolare e ad evolversi con tutte le sue varianti. Stiamo imparando a convivere con la pandemia, ma questo non significa che, in futuro, non possa tornare a fare paura. Ma quello che è davvero preoccupante è la facilità con la quale il nostro sistema sanitario sembra essere tornato ai livelli pre-Covid, con le stesse file d'attesa per i pazienti, l'ineluttabile scarsità di medici e infermieri, gli investimenti che procedono con il contagocce nonostante la dote di risorse prevista dal Pnrr. Eppure, dovremmo continuare a studiare nei laboratori le varianti del virus, migliorare e aggiornare continuamente i vaccini, risolvere le vergognose diseguaglianze del sistema sanitario italiano e quello fra Paesi ricchi e Paesi poveri, mantenere e diffondere i test diagnostici, far ripartire adeguate campagne di vaccinazioni, in poche parole, mantenere sempre ben alta la guardia. L'impressione, invece, è che passata l'emergenza, ci sia stata una sorta di rimozione di massa, con il tentativo, più o meno consapevole, di voltare pagina e dimenticare quella stagione. Solo che, come tutte le rimozioni compiute a metà, nel fondo della coscienza restano le immagini di Bergamo e le grandi paure. Dovremmo fare in modo che le une e le altre trasformino la ferita in un progetto per il futuro.

Suggerimenti