Costituzione da riformare con intese trasversali

di Davide Rossi

Interpellato sul tema, Arturo Carlo Jemolo, grande eccelsiasticista del secolo scorso, soleva rispondere: «Non amo la Costituzione perché piena di espressioni che non hanno nulla di giuridico; apprezzo di più la secchezza oserei dire la serietà, dello Statuto Albertino». Non da meno era il giudizio sferzante del socialista Gaetano Salvemini: «Ho letto il progetto della Costituzione. È una vera alluvione di scempiaggine. I soli articoli che meriterebbero di essere approvati sono quelli che rendono possibile emendare questo mostro di bestialità». Entrata in vigore nel 1948, frutto di quel periodo di transizione che dal fascismo ha portato alla Repubblica, grazie al referendum istituzionale e ai lavori di un’Assemblea i cui rappresentanti erano stati direttamente scelti dal popolo con voto universale, libero e segreto, la nostra Costituzione è entrata nel suo 75mo compleanno. Da decenni è oggetto delle ambizioni di modifica da parte della politica, ma il suo assetto resiste anche grazie all’affetto degli italiani nei suoi confronti. Affetto più mitologico che reale, se andassimo a vedere quanti l’hanno letta tutta o ne conoscono i contenuti, ma che l’hanno resa riferimento valoriale e programmatico del Paese. È applicando i suoi principi che abbiamo ampliato la sfera di garanzie e libertà costruendo decaloghi di diritti, migliorato le condizioni di lavoro, indirizzato il sistema carcerario verso principi di rieducazione e proporzionalità, tutelato l’istruzione come forma di partecipazione democratica, costruito un nuovo rapporto con le Istituzioni, in quanto serventi la collettività. Da ultimo, l’elogio sanremese di Roberto Benigni, che ha paragonato la Costituzione a una sorella di Sergio Mattarella, giocando sia sul ruolo del presidente della Repubblica quale suo garante che sulla partecipazione del padre Bernardo quale componente della Costituente. Da troppo tempo, altresì, si gioca su un fraintendimento, tra gli intoccabili principi fondamentali declinati nella prima parte del testo e la seconda dedicata all’organizzazione e alla disciplina dei poteri. Ci si riferisce a quell’ingegneria costituzionale – riprendendo una fortunata espressione di Giovanni Sartori – che invece necessità di un restyling con cui corrispondere alle esigenze di un sistema che vive un enorme iato tra forma e sostanza, tra ciò che è scritto e ciò che si è concretizzato. A nessuno, infatti, sfugge quanto elefantiaco sia oggi un bicameralismo perfetto come quello italiano, come l’esecutivo produca norme in numero ben più consistente che il Parlamento, di quanto spazio goda ormai la struttura europea, quanto non riuscite siano esperienze come il Cnel, come sia necessario un sistema elettorale (tema deliberatamente rimasto fuori dall’impianto costituzionale) funzionale e che offra stabilità e un nuovo concreto modello di rappresentanza in cui i partiti sappiano tornare centrali. In questa prospettiva si muovono le richieste di modifica in forma presidenziale, quanto il nuovo assetto della giustizia requirente e giudicante, il nodo dell’autonomia. Come 75 anni or sono, sarà fondamentale da parte di tutti aver coscienza che affrontare tutti questi cambiamenti, così rilevanti per la vita degli italiani, non è affare di parte, ma sarà necessario giungere a un ampio e condiviso compromesso, che produca un progetto su cui porre solide basi per gli anni a venire.

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