Le strategie

Europa casa comune

di Antonio Troise

È chiaro che non può esistere un’Italia separata dall’Europa. Qualsiasi illusione «sovranista» rischia di schiantarsi non solo sul muro dei vincoli politici e delle alleanze internazionali, ma anche, e forse soprattutto, su quello delle convenienze economiche. Mai come in questo momento, per il nostro Paese, è il momento di tessere alleanze nel Vecchio continente e non di alimentare scontri, soprattutto alla luce delle tensioni geolopolitiche e della difficile situazione dei conti pubblici. Lo sa bene soprattutto la premier, Giorgia Meloni, che fin dal primo giorno a Palazzo Chigi ha messo da parte vecchie bandiere e slogan di partito orientando la linea del suo governo nel solco della realpolitik e della strategia europeista del suo predecessore, Mario Draghi. Così, ieri, la premier ha prima avuto un lungo faccia a faccia con il suo vice e leader della Lega, Matteo Salvini, che 24 ore prima aveva lanciato bordate di fuoco contro Bruxelles. Poi, nel pomeriggio, ha incontrato la presidente del Parlamento Europeo, Metsola, reduce da un lungo tour nelle regioni del Sud. Obiettivo dichiarato, ricucire le ferite e riaprire un dialogo dopo il gelo dei rapporti fra Italia e Bruxelles degli ultimi giorni.

Una linea benedetta anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha fatto sentire la sua voce per ribadire il posizionamento dell’Italia: «Non è possibile tornare indietro e neanche rallentare»: anzi, oggi «l'integrazione europea appare più che mai indispensabile». Una posizione in sintonia con la necessità di tessere nuove alleanze, diventare partner affidabili delle politiche comunitarie, recuperare fiducia e credibilità a livello internazionale. Da questo punto di vista l’addio formale al vecchio progetto della «Via della Seta» e della conseguente alleanza con la Cina rappresenta sicuramente un passo in direzione dei nuovi equilibri geopolitici. Certo, tutto questo non significa accettare qualsiasi condizione imposta da Bruxelles. Le nuove regole del Patto di Stabilità che si stanno profilando all’orizzonte rischiano di creare non pochi problemi dal punto di vista della sostenibilità dei nostri conti pubblici. Così come alcune scelte di politica industriale legate al cosiddetto «New green deal» rischiano fortemente di penalizzare settori produttivi fondamentali per la crescita della nostra manifattura, a cominciare da quella legata all’industria del packaging, una filiera che vale, più o meno, circa 30 miliardi di euro. O ancora quella dell’automotive, che rischia di essere travolta da una transizione green troppo repentina. L’Italia deve continuare ad essere uno dei soci fondatori dell’Unione ed agire di conseguenza, puntando a far sentire la propria voce nei tavoli istituzionali, anche difendendo i propri interessi. Ma sapendo che, in ogni caso, la casa comune europea non può essere messa in discussione.

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