DEFICIT DI BILANCIO

Il debito che non fa paura a Draghi

di Ernesto Auci

Lo aveva detto e lo ha fatto. Mario Draghi aveva detto ben prima di diventare presidente del Consiglio, che di fronte a questa gravissima crisi sanitaria e economica gli Stati dovevano spendere molto denaro per evitare il collasso delle aziende e il cataclisma sociale. Ieri il Governo ha infatti deciso di aumentare il deficit di quest’anno di ulteriori 40 miliardi e ha fornito con il Def un quadro macroeconomico che prevede una crescita del debito fino al 159,8% del Pil, un livello superiore a quello del dopoguerra. Sarà l’uscita dalla crisi sanitaria che consentirà di rimettere in moto la macchina dell’economia spingendo la crescita per quest’anno al 4,5% e il prossimo anno addirittura al 4,8%. Il deficit pubblico quest’anno salirà all’11,8% per poi scendere intorno al 6% il prossimo anno. Per tornare dentro i vecchi parametri europei (che però dovranno essere modificati), del 3% bisognerà aspettare il 2025. Sono cifre che mettono paura. Se non ci fosse Draghi, che garantisce con la sua reputazione, questo rischioso azzardo, ci sarebbe davvero da essere preoccupati. Per ora, grazie anche alla Bce che continua a comprare una valanga di titoli emessi dal Tesoro, i tassi si mantengono bassi, addirittura per le scadenze più brevi sono negativi, e cioè il risparmiatore paga per poter avere i nostri Bot. Inoltre i mercati sono tranquilli e fiduciosi grazie al piano di «rilancio e resilienza» finanziato dall’Ue, grazie al quale si sostengono fondate speranze di un pronto e robusto recupero della crescita della nostra economia. E anche rispetto al nostro Recovery plan che dovrà essere consegnato a Bruxelles il nostro premier è stato di manica larga. Infatti il complesso delle spese per i progetti che hanno passato il vaglio degli uffici, è di ben 222 miliardi, una trentina di miliardi al di sopra della cifra massima prevista dai finanziamenti europei. E quindi su suggerimento del ministro dell'Economia Daniele Franco, il premier ha deciso di istituire un fondo speciale finanziato con risorse nazionali per poter fare anche queste opere giudicate importanti, ma che non verranno presentate al vaglio di Bruxelles. La cosa più rilevante di tutte è però il fatto che queste cifre non tengono in alcun conto i possibili effetti positivi che potranno derivare dalle riforme che dovranno accompagnare il piano da presentare alle autorità europee e che, come si sa, vanno da quella della Pubblica Amministrazione, a quella della Giustizia per arrivare fino alla riforma fiscale. Se Draghi dovesse davvero riuscire a far partire queste riforme (che avranno bisogno di qualche anno per essere completate), allora l'economia potrebbe beneficiare di un ritorno della fiducia anche da parte di tanti investitori esteri che da tempo rimangono fermi alle nostre frontiere perché non vogliono combattere con la nostra Pubblica Amministrazione, non capiscono la nostra Giustizia e ritengono il nostro fisco pesante e squilibrato. Se si riuscisse a infondere un po' di ottimismo sulle prospettive del paese anche i nostri concittadini potrebbero scongelare parte dei soldi che hanno depositato in banca per motivi precauzionali, e ricominciare non solo a consumare, ma anche a investire in beni durevoli, a cominciare dalla casa.In definitiva Mario Draghi ha scelto una strada che pur essendo necessaria, non è esente da rischi. La possibilità che il nostro debito possa gradualmente ridursi e non costituire una palla al piede per noi e per le generazioni future, sta nella nostra capacità di recuperare un soddisfacente tasso di crescita dell'economia. Per farlo ci vuole una generale consapevolezza del problema e uno spirito di concordia politica e sociale che per ora non sembra molto solido. La speranza è che i partiti che pure appoggiano il Governo, trovino un minimo comun denominatore per superare le polemiche e spingere tutti nella stessa direzione.. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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