Reazione e rischi

Il «no» al Mes e il rapporto con l’Europa

di Antonio Troise

Fumata nera. La Camera, con un voto che ha spaccato sia la maggioranza che l’opposizione, ha fatto scattare l’ennesima disco rosso sulla revisione del Mes, il cosiddetto Fondo Salva Stati. Un blitz arrivato il giorno dopo il varo, altrettanto a sorpresa, delle nuove regole del Patto di Stabilità, decise sull’asse franco-tedesco con il coinvolgimento, solo in una seconda fase, dell’Italia. A leggere i due eventi, uno dopo l’altro, la tentazione è quella di vedere una sorta di «botta e risposta», con la bocciatura della Camera che ha tutto il sapore di una sorta di ritorsione, una «ripicca» in salsa sovranista per le decisioni assunte a Bruxelles. In realtà, il malessere tutto italiano sulla revisione del Fondo Salva Stati è molto più profondo e affonda le radici nelle posizioni, per molti aspetti «pregiudiziali» che Fdi e Lega da una parte e M5s dall’altra hanno sempre avuto sulla revisione del trattato. Certo, fino a ieri, il voto sul Mes era stato rinviato in attesa delle decisioni dell’Europa sul Patto di Stabilità. Il governo, fin dal primo momento, ha considerato strettamente connessi i due dossier anche se, sulla carta, ha sempre detto che non era in atto né una sorta di scambio né tanto meno una posizione di ricatto. Sarà pure così. Così come è senz’altro vero che la mancata ratifica di ieri non comporta conseguenze concrete per il nostro Paese. La revisione, infatti, prevedeva solo la creazione di una sorta di “paracadute finanziario” in caso di crisi bancarie. Una situazione che, per fortuna, non ci riguarda. La conseguenza, però, è che la mancata firma dell’Italia, l’unico fra i partner europei a non aver sottoscritto il documento, blocca anche tutti gli altri Paesi. In sostanza, se una banca europea si trovasse in difficoltà, non potrebbe contare sulla dotazione del fondo Salva-Stati, che può attivare prestiti fino a 500 miliardi di euro. La seconda conseguenza, più politica, è quella di ampliare il fossato fra l’Italia e gli altri membri dell’Unione, con il rischio di un ulteriore isolamento del Paese. Una posizione che potrebbe risultare molto scomoda, soprattutto quando dovremo bussare alle porte di Bruxelles, già dalla prossima primavera, per affrontare il problema del nostro extra-deficit e, quindi, delle politiche di aggiustamenti dei conti pubblici anche alla luce delle nuove regole del Patto di Stabilità. Se a tutto questo aggiungiamo il confronto, tuttora in corso, sulla grande questione della gestione dei flussi migratori, la domanda da porsi è una sola: conviene, all’Italia, continuare a stare in guerra con tutti gli altri membri europei, a partire dai cosiddetti “soci fondatori”, come Francia, Germania e Spagna o sarebbe meglio imboccare la strada di un confronto costruttivo e tessere nuove alleanze? Per ora i partiti, sia della maggioranza sia dell’opposizione, sembrano essere più interessati agli equilibri interni che ai problemi dell’economia reale del Paese. Certo, le elezioni europee sono alle porte. Ma questioni come il Mes o il Patto di Stabilità hanno un orizzonte strategico che supera di gran lunga le scelte tattiche di breve periodo.

Suggerimenti