LA SENTENZA

Il «No» bocciato dal giudice fa scuola

di Federico Guiglia

Nossignori, non si può fare. Dieci sanitari (due infermieri e otto operatori) si erano rifiutati di sottoporsi al vaccino, lo scorso febbraio, e per questo la direzione delle due case di riposo dove lavoravano li ha sospesi dall’attività. Ora un giudice di Belluno, Anna Travia, ha sentenziato il torto dei sanitari che avevano fatto ricorso alla magistratura contro la sospensione, e la ragione del medico che li aveva dichiarati «inidonei al servizio», aprendo la strada al loro momentaneo allontanamento, senza stipendio. «Insussistenti», ha definito il giudice le argomentazioni dei ricorrenti, sottolineando che è «ampiamente nota l’efficacia del vaccino nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus come si evince dal drastico calo dei decessi fra le categorie che hanno potuto usufruire delle dosi». Sono parole destinate a fare giurisprudenza in un ambito di drammatica attualità. Ambito che pure non ha ancora registrato l’atteso intervento del legislatore. Di nuovo tocca a un magistrato scendere nel campo vuoto lasciato dalla politica. Da tempo in Parlamento si annuncia la necessità di una legge per evitare che si metta a rischio la salute, altrui e propria, con la scusa che non esiste obbligo a vaccinarsi. Nel caso della facoltativa, eppur fortemente raccomandata, vaccinazione contro la pandemia, la polemica si è finora concentrata su chi è in prima linea contro il virus: medici e infermieri innanzitutto. Come possono, proprio loro, tirarsi indietro rispetto a una scelta che la medicina considera decisiva?

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