L’editoriale

Il Patto Ue e l'Italia che si astiene

di Antonio Troise

Per una volta sono tutti d’accordo, centrodestra e centrosinistra. Ci sarebbe quasi da essere contenti. Ma, invece, c’è davvero ben poco da esultare. A Strasburgo, ieri, è nata una nuova versione della cosiddetta «unità nazionale», basata questa volta sull’astensione e non sulle «convergenze parallele» di Moro. Certo, il non voto dell’Italia sul Patto di Stabilità, non è stato sufficiente a bloccare le nuove regole sui conti pubblici in Europa, approvate a larghissima maggioranza. Ma è stato sufficiente, invece, a far suonare la campanella della prossima campagna elettorale, in vista delle europee. E poco importa se la scelta dell’astensione ha creato qualche mal di pancia all’interno dei due schieramenti. La leader del Pd, Elly Schlein, ha dovuto di fatto «sconfessare» il Commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, gran sostenitore dell’accordo che a dicembre scorso ha portato alla ridefinizione delle regole sui conti pubblici nell’Unione europea. Tanto da suscitare la reazione, ironica, dell’ex premier: «Abbiamo unito la politica italiana». Senza contare, poi, l’ennesimo colpo di piccone nei confronti del campo largo della sinistra, dal momento che il leader dei Cinquestelle ha optato per un «no» secco alle nuove regole del patto. I problemi non mancano neanche sull'altro fronte, quello del centrodestra, dal momento che l'astensione di Lega, Fdi e Forza Italia suona come una bocciatura anche del lavoro del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, che fino all'ultimo aveva trattato per trovare un compromesso onorevole a favore del nostro Paese. La verità è che, ancora una volta, i partiti si sono mossi seguendo più la traiettoria delle prossime elezioni europee che quella di una strategia coerente con gli obiettivi dell'Unione Europea. Sicuramente, il ritorno alla vecchie regole del patto di stabilità, dopo la sospensione dovuta al Covid, crea non pochi problemi per un Paese che, nel 2024, avrà un deficit del 4,5% e un debito pubblico che si avvicina al 140%. E' vero che con la riforma del Patto si è anche deciso un percorso di rientro graduale nei parametri europei, con sacrifici che possono essere spalmati per sette anni. In più, fino al 2027, Giorgetti è riuscito a strappare un margine di flessibilità per contenere a pochi decimali il percorso di rientro del deficit. Una concessione che non dovrebbe consentire all'Italia di evitare l'avvio di una procedura di infrazione già nei prossimi mesi. Al di là delle decisioni che saranno prese dall'esecutivo comunitario, il banco di prova del nostro Paese resta quello dei mercati. Finora la strada del rigore portata avanti da Giorgetti, nel segno della continuità con la strategia dell'ex premier Mario Draghi, ha consentito al paese di reggere l'urto e portare lo spread ai minimi da molti anni a questa parte. L'astensione dei partiti di maggioranza e opposizione potrebbe essere letta come un segnale di allentamento dei cordoni della borsa e, quindi, come una spia di una nuova inaffidabilità del Paese alla vigilia della nuova scadenza elettorale. Cosa invece da evitare.

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