editoriale

Il terrore che cova sotto la cenere

di Federico Guiglia

Stavolta gli attentatori hanno scelto Istanbul, ricorrendo alla solita e vile tecnica già vista in Francia, Germania, Austria e altre nazioni europee prese di mira nel recente passato: colpire chiunque abbia avuto la sfortuna di trovarsi a passeggiare in centro e di pomeriggio. L’esito della strategia dell’orrore è di sei morti e decine di feriti. I rilievi delle autorità turche, che seguono la pista del terrorismo, parlano di una bomba fatta esplodere da una donna kamikaze. Pochi anni fa il Paese era già stato oggetto della violenza del terrorismo. Nell’attesa di capire la matrice e il perché dell’attentato (legato al ruolo del presidente turco e «mediatore» Erdogan con Putin nella guerra contro l’Ucraina?), bisogna dire subito che la drammatica sorpresa non dovrebbe sorprendere: il terrorismo cova ancora sotto la cenere.
Non importa sotto quali bandiere né contro chi, perché a pagarne le peggiori conseguenze sono sempre gli inermi e gli innocenti. Sono delitti contro l’umanità. L’attenzione che da mesi è tutta rivolta al conflitto in Ucraina e alle preoccupazioni per il costo dell’energia in Europa, ci aveva fatto dimenticare l’altra e non meno grave guerra che da tempo attacca l’Occidente e i suoi alleati quando meno se lo aspettano. È la guerra dichiarata da chi ci detesta, e lo rivendica, a prescindere dalle formule e dalle ideologie utilizzate o strumentalizzate. È la guerra promossa per intimorire, prima ancora che per ferire, le società cresciute nella libertà e nel benessere. Non ci perdonano l’amore per la vita, questi teorici della morte che agiscono nell’anonimato e che si sono radicalizzati nell’oscurità. Perciò ai loro occhi anche semplici turisti della domenica sono considerati odiati nemici da abbattere. Proprio in seguito agli attentati subiti in vari dei suoi Paesi-membri, l’Unione europea ha decretato la lotta al terrorismo come una priorità. All’obiettivo della prevenzione contribuiscono misure di coordinamento e scambio di informazioni sui soggetti a rischio, e la cooperazione anche con nazioni extra-europee per bloccare l’acquisto di armi e le fonti di denaro, per scoprire i cosiddetti combattenti stranieri nei teatri di guerra. Ma l’esplosione nella vicina Turchia ci ammonisce che, quanto già fatto, non è sufficiente, se non prendiamo coscienza della grave insidia per tutti. E se non lo contrastiamo con tutta la forza che le leggi ci danno.

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