IL TEAM DI GIORGIA

L'economia reale e i «sogni» dei politici

di Antonio Troise

Vietato sbagliare. Il presidente del governo in pectore, Giorgia Meloni, lo sa bene. L’emergenza gas, con le proteste che infiammano le piazze quasi ogni giorno, la ricorsa dei prezzi, l’impennata del debito pubblico e la necessità di partire con il piede giusto per dare un segnale di responsabilità ai mercati e agli altri leader dei Paesi occidentali: insomma, un puzzle complicato il cui primo tassello sarà, ovviamente, la costituzione del nuovo governo. Il totonomine impazza e sono tanti i candidati, per una trentina di posti, o giù di lì. Ma il problema di fondo, al di là delle scelte e degli equilibri di partito, è la tipologia del nuovo esecutivo. Sarà tutto politico o nella compagine troveranno posto, anche in ruoli chiave, i cosiddetti «tecnici»? Si tratta di quelle figure terze in grado di mandare segnali rassicuranti e soprattutto, garantire una sorta di continuità con il percorso tracciato da Draghi. Berlusconi e Salvini premono soprattutto sulla prima ipotesi. Anche con qualche ragione di fondo: la maggioranza uscita vincente dalle elezioni ha il diritto di scegliere figure politiche per guidare il Paese. Di tutt’altro avviso Giorgia Meloni, azionista di maggioranza del nuovo esecutivo, che da quando ha sbaragliato i diretti concorrenti, ha assunto una linea molto moderata, sconfessando ogni pronostico. Tanto che negli ultimi giorni si sono sempre più intensificati i contatti con l’attuale premier, Mario Draghi. Fra i candidati più accreditati all’Economia, un ministero chiave anche per affrontare le emergenze più immediate del Paese, c’è l’attuale membro del board Bce ed ex Bankitalia, Fabio Panetta, nome che di certo l’ex numero uno della Banca centrale vedrebbe con favore in via XX Settembre. Per la verità, la prudenza di Meloni è figlia di una strategia precisa: portare alla guida del Paese una squadra fatta di figure «competenti» e in ogni caso in grado di ridimensionare quelle ombre sovraniste che fino a ieri erano prevalse nelle fila di Fratelli d’Italia. Ma per centrare l’obiettivo bisognerà cominciare a risolvere l’incognita Salvini, che ha davanti a sé due ipotesi: mettersi di traverso sul cammino del nuovo esecutivo, pretendendo il Viminale e bocciando ogni figura tecnica. O, ancora, accettare un’uscita dignitosa, incassando la presidenza del Senato e lasciando a un fedelissimo la segreteria della Lega. Ancora una volta, insomma, corriamo il rischio di andare incontro a una stagione politica figlia più della voglia di rivincita di questo o quel leader che dell’esigenza di dare una risposta reale ai problemi del Paese. Da questo punto di vista, i partiti del centrodestra farebbero bene a fare tesoro della lezione che arriva dall’Inghilterra, dove la premier Liz Truss ha dovuto riporre nel cassetto la riforma fiscale che riduceva le tasse sui ceti più ricchi dopo la sonora bocciatura dei mercati e la rivolta dei Conservatori. Come a dire, nell’attuale situazione di crisi e incertezza economica, salti nel buio, per rispettare promesse elettorali impossibili (a partire dalla flat tax) rischiano di danneggiare tutti. E, allontanano la soluzione dei problemi più gravi del Paese, a cominciare dalla necessità di dare subito un aiuto alle famiglie e alle imprese. Prima ancora che dal totonomine bisognerebbe, invece, partire proprio da qui.

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