La necessità

L’Europa un faro sul clima

di Maurizio Tira

La domanda che ricorre ogni anno e, in modo del tutto particolare, in questa edizione 2023 della Cop che si tiene a Dubai è: a cosa serve che migliaia di persone si spostino, producendo emissioni straordinarie di CO2 per raggiungere risultati talvolta deludenti, se non molto parziali? Sono modestamente convinto che serva. Se i risultati sono spesso al di sotto delle aspettative, è fondamentale che la comunità internazionale tenga aperto il confronto sulle politiche e le azioni per forzare la transizione ecologica, mitigare il cambiamento climatico, sviluppare programmi di adattamento e sostenere lo sforzo dei paesi a basso reddito che hanno sofferto delle scelte sbagliate dei paesi più sviluppati e nel contempo ne hanno pagato le maggiori conseguenze. Ascoltare dalla viva voce dei protagonisti il grido che si leva da gran parte dell’umanità che soffre per la cattiva qualità dell’aria, l’innalzamento del livello dei mari, le ondate di calore, la desertificazione e la scarsità di risorse idriche, è molto diverso dal leggerlo sui media. Abbiamo ancora bisogno di vedere volti, best and worst practices, di sentire la voce di chi protesta, magari non ascoltato proprio dai mezzi di comunicazione ufficiali. 

È un esercizio di relativizzazione della nostra ancora supposta centralità, che sta rapidamente venendo meno. L’Italia e l’Europa non sono e non saranno più il centro del mondo da molti punti di vista, ma possono continuare ad esserlo come «faro» negli sforzi per la transizione ecologica. Abbiamo le capacità per farlo. Abbiamo la cultura per farlo. Abbiamo le risorse per farlo. Abbiamo la necessaria capacità critica per valutare la qualità e le conseguenze di ciò che facciamo. Non avremo probabilmente la forza politica, ma potremmo usare quella morale! Il 6 dicembre scorso Simon Stiell, segretario esecutivo del Climate Change Group delle Nazioni Unite, ha affermato: «Potremo superare la crisi climatica solo abbandonando il business-as-usual. La decisione di destinare finalmente risorse per coprire il Loss and Damage dà alla COP di Dubai una prima ragione di speranza, ma non sufficiente». Il fondo servirà a coprire le perdite e i danni subiti dai Paesi colpiti da disastri causati dai cambiamenti climatici. Le nazioni vulnerabili, che in genere hanno emesso di meno, ma sono le più colpite, spingono da anni per ottenere un risarcimento, ma i Paesi ricchi e maggiormente inquinanti non hanno fatto fronte agli impegni presi. Nel frattempo la temperatura media del pianeta è già aumentata di 1,1 gradi rispetto al dato di riferimento del 1850. L’obiettivo della COP21 di Parigi era di rimanere ben al di sotto dei 2 gradi. Non stiamo facendo abbastanza e i danni e le perdite cresceranno ancora! L’Italia ha annunciato un finanziamento di 100 milioni di euro, la stessa cifra promessa dagli emirati Arabi Uniti e così la Germania. Alla fine il fondo dovrà raccogliere almeno 100 miliardi l’anno entro il 2030 (anche se i Paesi a basso reddito ne richiedono 400 e da alcune stime ne servirebbero 1.500). Il fondo sarà ospitato per quattro anni dalla Banca Mondiale, dove però il ruolo predominante è giocato dai Paesi occidentali: c’è ancora molta strada da fare verso una democrazia planetaria! Essere dunque a Dubai, in un Paese certo apparentemente pieno di contraddizioni, è dunque importante per testimoniare il nostro coinvolgimento, per esprimere solidarietà anche umana, ma soprattutto per capire e per rendersi conto che il mondo è cambiato e noi dovremo cambiare con lui.

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