PRICE CAP SUL GAS

L’ illusione di prendere la tigre per la coda

di Francesco Morosini

I ministri dell’Energia dell’Unione europea hanno concordato un «meccanismo di correzione del mercato», o price cap, per il prezzo all’import del gas nell’Ue. Prezzo esploso per una politica di transizione energetica molto radicale e per effetto della guerra in Ucraina. Quel meccanismo poggia sull’idea di stabilire un massimale al prezzo del gas. È anche (forse soprattutto) una forma di marketing politico di Bruxelles, per dimostrare che è vigile. Sono previste clausole sospensive per evitare conseguenze negative. Il price cap è stato deciso a maggioranza qualificata invece dell’unanimità, permanendo profonde fratture interne all’Unione. Agirà su uno dei mercati che trattano il gas: quello dei contratti futures, caratterizzati dal fatto che a una certa data le parti si obbligano a scambiarsi gas con moneta.
Gli altri due mercati nei quali si tratta gas sono quello spot e quelli non-regolamentati (Otc nell’acronimo inglese). Nel primo, lo scambio tra consegna e pagamento sono immediati, in tempo reale. Il secondo è detto non-regolamentato: dipende dal fatto che è privo di un ente di supervisione degli scambi e di camere di compensazione che garantiscano la liquidità delle transazioni (per questo è più rischioso). Il price cap disciplina, come detto, quello dei contratti futures. Prima condizione per farlo scattare è che il prezzo dei futures a un mese superi di 180 euro per MWh (unità di misura di 104 metri cubi di gas) per più per tre giorni consecutivi il prezzo preso a riferimento. Che è quello che si forma nel più grande mercato all’ingrosso europeo cioè l’olandese Title Transfert Facility (Ttf). Non basta. Altra condizione è che sorpassi di 35 euro in analogo periodo quello del gas naturale liquefatto. Il price cap partirà il 15 febbraio. Come anticipato, esso verrebbe bloccato dinnanzi a rischi di sicurezza negli approvvigionamenti o ad aumenti della domanda internazionale di gas tali da rendere assurda l’imposizione di un prezzo amministrato alla materia prima. Perché queste clausole prudenziali? Evitare l’Unione a secco. È una decisione che antepone il consenso ai possibili danni di una manomissione politica del mercato del gas. Piaccia o meno se manca offerta (la russa) le alternative sono due. Il razionamento o il correre a rivolgersi al Qatar o ad analoghi fornitori. Con la possibilità sia di incontrare la Federazione russa sotto mentite spoglie che regimi lontani dai nostri standard democratico/sindacali. Insomma, di trovare sorprese aliene dalle sensibilità democratiche. La transumanza verso nuovi fornitori ci rende fragili (persa Mosca, hanno grande potere condizionante) fino a esporre l’Ue a ritorsioni, come quelle possibili del Qatar per il noto e recente scandalo. Che succede se si raggiunge la soglia del price cap? L’esito potrebbe essere paradossale. Ovvero la corsa per coprire il fabbisogno ai mercati Otc (non regolamentati) facendo perdere di significato il mercato Ttf olandese. Inoltre, il prezzo del gas liquefatto (l’altro indicatore correlato al Ttf per fa scattare il price cap) è difficile da costruire, in quanto si tratta di scambi frammentati perché bilaterali. La premessa errata del price cap è che l’Unione europea sia monopsonista (controllo la domanda) di gas e dunque capace di dire la sua sul prezzo. Forse lo era parzialmente con la Federazione russa per il vincolo dei gasdotti. Ora però le sanzioni a Mosca ci hanno proiettato nel mercato internazionale del gas liquefatto. È un ambiente ipercompetitivo, dove i prezzi calmierati dei futures sono assurdi e paralizzano la funzione allocativa del mercato. In questo contesto il price cap è l’illusione di prendere una tigre per la coda. Arduo, specie se la tigre fosse una Pechino affamata di gas. Ne farebbe man bassa bypassando il price cap dicendo «goodbye Bruxelles».

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