L’editoriale

L’Italia e la corsa al digitale

di Antonio Troise

Ci sono rivoluzioni tecnologiche così rapide che corriamo il rischio di inseguirle quando già è troppo tardi, quando negli altri Paesi si sono già affermate e diventate di uso comune. Sono quelle innovazioni che ci colgono di sorpresa e che entrano nelle nostre vite all’improvviso, importate dalle altre aree del mondo. È questo, sicuramente, il caso dell’intelligenza artificiale. Qualcuno ha paragonato i suoi effetti con quelli dell’elettricità. O del web. O, ancora, risalendo indietro nel tempo, alla rivoluzione industriale. Fatto sta che gli effetti di questa tecnologia diventeranno, nei prossimi anni, sempre più pervasivi. Nei prossimi 10 anni, l’Ai, come si chiama in lingua anglosassone può contribuire all’1,5% della crescita globale della produttiva, aumentando il Pil del mondo di quasi 7 trilioni di dollari. Senza contare gli effetti in alcuni settori strategici, dalla lotta contro il cambiamento climatico alla sanità. Insomma, una sfida senza precedenti dove, ovviamente, a farla da padrone fino ad oggi sono i giganti americani, da Apple e Microsoft. Delle 40mila imprese nel mondo specializzate nell’Ai, circa la metà sono negli Stati Uniti, un altro 20% è localizzato fra Gran Bretagna, Francia e Germania e il resto nelle altre aree del mondo. È evidente, insomma, il ritardo del nostro Paese. Ed è ancora più importante, da questo punto di vista, la dote messa a disposizione ieri dal governo, attraverso la Cassa depositi e prestiti, per fare un salto di qualità in questo settore: un miliardo di euro. Una mossa che chiude la prima fase di studio della Commissione sull’Intelligenza artificiale guidata da padre Benanti. Bisogna dare atto alla premier, Giorgia Meloni, di aver acceso per tempo i riflettori su questo tema, portandolo non solo nell’agenda di governo ma anche in quella del G7 che questa volta è presieduto proprio dall’Italia. Ma bisogna anche dire che si tratta solo di un primo passo. Giusto per capire le dimensioni in gioco, gli Stati Uniti hanno investito sull’intelligenza artificiale, nel 2023, circa 65 miliardi di euro, la Cina 35. È chiaro che, di fronte a questi numeri, i singoli Paesi possono fare ben poco. Ed è ancora più grave, su questo fronte, l’assenza di una strategia globale europea, in grado di attivare quella massa di investimenti necessaria per contrastare il predominio americano o cinese e, soprattutto, trovare una via autonoma all’intelligenza artificiale. Finora, ci siamo soffermati soprattutto sulle regole e sui principi, per carità importanti. Ma sicuramente non sufficienti per essere competitivi e padroneggiare la nuova tecnologia. E, invece, senza un piano europeo per lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, rischiamo ancora una volta di diventare la solita «colonia» degli americani o dei cinesi. Per una volta, insomma, l’Europa più che sulle regole dovrebbe puntare sugli investimenti. Per non perdere, ancora una volta, il treno dello sviluppo. 

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