L’editoriale

L’Unione alla prova più delicata

di Davide Rossi

Tra meno di cento giorni l’Europa tutta sarà chiamata ad una delle elezioni più delicate della sua breve storia unitaria. L’attuale situazione geopolitica appare oltremodo delicata e tale da rendere questo momento ancora più cruciale, in considerazione di una serie di sensibili questioni che dovranno essere affrontate con una certa attenzione. La fase prebellica che si sta vivendo nel Vecchio Continente impone come non più rimandabile il problema di una difesa comune, che superi gli interessi della Francia e non crei una dipendenza dalle strategie tedesche. Appare altresì nodale il delicato tema dell’allargamento ai Paesi che hanno fatto domanda di adesione e hanno ottenuto lo status di «candidato», tra cui la Turchia (dal 1999), la Macedonia del Nord (dal 2004), il Montenegro (dal 2010), la Serbia (dal 2012), l’Albania (dal 2014), mentre più di recente si annoverano l’Ucraina (il 28 febbraio 2022), la Moldavia e la Georgia (2022), quest’ultima con un procedimento in corso e non ancora concluso. Si impongono scelte di campo: se sia più opportuno lasciare questi Stati all’esterno, come cuscinetti nei confronti della Russia, quanto valutare il loro percorso culturale, religioso o ambientale incompatibile, oppure ritenere che includerli nel processo comune possa favorire, nel lungo periodo, la creazione di un dialogo e l'edificazione di un tessuto sempre più vicino ai valori su cui si fonda la stessa Unione, richiedendo un impegno formale a promuovere il rispetto dei principi di democrazia e le regole di uno Stato di diritto, la tutela dei diritti dell'uomo e delle minoranze, l'instaurazione di un'economia di mercato improntata alla libera concorrenza, l'accettazione degli obiettivi previsti nei trattati europei. Quest'ultima scelta imporrebbe necessariamente la revisione di una serie di principi su cui si è strutturata fino ad oggi la costruzione istituzionale unitaria, prima tra tutti l'esigenza che le decisioni vengano sempre prese all'unanimità. La recente uscita della Gran Bretagna ha modificato l'assetto strategico e l'Italia può svolgere un ruolo nodale e trainante nei confronti di quegli Stati che cercano di ridurre l'asse franco-tedesco, già in crisi dai rapporti ultimamente non certo idilliaci tra Macron e Ursula von der Leyen. In questo contesto l'Italia dovrebbe cercare di ritrovare il bandolo della matassa del proprio interesse nazionale, spesso offuscato da logiche partitiche o dal tragico errore di riflettere in ambiti europei schemi di scontro tipici della politica interna. In tal senso si può interpretare il tentativo di Salvini di puntare a riunire trasversalmente i partiti sovranisti che stanno sempre più emergendo. Di contro, il presidente del Consiglio è ben consapevole del ruolo che ha acquisito in quest'ultimo anno, e aumentato grazie all'attuale presidenza del G7, e non vorrà farsi sfuggire l'occasione di valorizzare i sondaggi che la indicano in forte ascesa. L'unica cosa certa è che ci attende una primavera ricca di suggestioni politiche e dagli esiti tutt'altro che prevedibili.

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