DONNE E LAVORO

L’ universo femminile baricentro del futuro

di Antonio Troise

Saranno le donne e non i migranti a portare fuori il Paese dalle secche del declino. È la premier Giorgia Meloni a lanciare la sfida, parlando senza mezzi termini, alla Fiera del Mobile di Milano. Ed è una ricetta difficilmente contestabile, anche perché i numeri parlano chiaro. In Italia, il tasso di occupazione femminile, fra i 15 e i 64 anni, era poco meno del 50%. Il divario con il resto d’Europa è più che evidente: in Germania sfiora il 74%, in Francia supera il 63%. Perfino la Spagna fa meglio con il 55,7%. Insomma, sono ancora troppo poche le donne che lavorano. E, quando riescono a farlo, non solo raggiungono raramente posizioni di vertice ma fioccano contratti a tempo determinato o part time. La questione, poi, si incrocia con l’altra, non meno pesante, relativa al crollo delle nascite. È vero che, come spiega il presidente dell'Inps Pasquale Tridico, senza nuovi ingressi, fra venti anni ogni lavoratore attivo dovrà farsi carico di un pensionato. Attualmente il rapporto è di 1,3. Ma il problema non si può risolvere solo aprendo la porta ai migranti, con tutto il carico delle questioni collegate ai nuovi ingressi. La verità è che occorrerebbe agire su due leve: da una parte una politica del lavoro che preveda forti incentivi o sconti fiscali per le imprese che assumono donne, magari portando gli sconti agli stessi livelli di quelli che già esistono per i giovani o i disoccupati nelle aree più deboli del Paese. Dall’altra, occorre puntare con maggiore decisione sugli interventi che frenino il trend della «denatalità». 

Per farlo non servono proclami o annunci roboanti, ma piuttosto misure concrete in grado di favorire la conciliazione fra il tempo dedicato al lavoro e quello destinato alla famiglia. Basti pensare, ad esempio, al nodo degli asili nido, che in vaste aree del Paese restano abbondantemente al di sotto del fabbisogno reale delle famiglie. O agli sconti fiscali per chi ha bisogno di una baby sitter. O ancora, alla necessità di ripartire meglio il carico «familiare» fra marito e moglie. E, infine, servirebbe una maggiore flessibilità nella gestione degli orari di lavoro, oggi fortemente penalizzanti per chi deve crescere un figlio. Attività che, nella stragrande maggioranza dei casi, viene affidata proprio alle donne. C’è poi, naturalmente, un problema ancora più a monte, che riguarda la formazione di quei profili professionali fortemente richiesti dalle imprese e che non si trovano sul mercato. Anche su questo fronte, insomma, bisognerebbe fare di più per mettere davvero le donne al centro delle politiche dello sviluppo senza fare affidamento su facili scorciatoie che, alla lunga, potrebbero solo aggravare il problema senza risolverlo alla radice.

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