Alleati contro

La Lega debole e i nodi al pettine

di Alberto Bollis

I nodi, si sa, prima o poi vengono al pettine. Lo sta sperimentando il centrodestra: le spazzolate elettorali che da un paio d’anni a questa parte «massaggiano» la Lega di Matteo Salvini ne hanno accumulati, di nodi, un bel po’. Ora il groviglio è lì, inestricabile e impenetrabile quanto la foresta incantata della «Bella addormentata».

Le possibilità di uscirne sono due: applicarsi con pazienza certosina a sciogliere i groppi a uno a uno; oppure un colpo e via, tagliare tutto quasi alla radice e ripartire – se non da zero – almeno da quel poco che resta di sano e vigoroso dell’alleanza che fu.

In Lombardia è stata l’altra sera Letizia Moratti a far capire platealmente alla «coalizione» come ormai non sia più il caso di temporeggiare. «Da mesi ho dato la mia disponibilità e sono sollecitata da più parti a candidarmi alla guida della Regione nel 2023 - ha scandito la vicepresidente -. Aspetto un segnale concreto da parte del centrodestra per poter proseguire nel cammino intrapreso fino a qui». E ha aggiunto: «Molti ritengono che, dopo un lavoro generoso e positivo di un anno e mezzo, io possa essere una risorsa per il centrodestra. E anch’io lo penso: la mia storia personale lo testimonia».

A prescindere dall’auto-promozione morattiana e dall’effettiva solidità di una sua candidatura a governatrice, l’uscita della vicepresidente è lo strappo che fa sanguinare la ferita del polo conservatore, la cui volonterosa opera di sutura, attuata dai più diplomatici dello schieramento, con tutta evidenza non regge più. Uno strappo che avviene in Lombardia, ma che avrà riflessi più ampi. E la frettolosa nota leghista a rivendicare la conferma di Attilio Fontana al piano più alto del Pirellone non lenisce la sofferenza di una coalizione lacerata. Semmai la amplifica.

Per rimanere sul territorio, tira da una parte la Moratti, tira dall’altra la Lega, ci si mettono ovviamente anche i colonnelli locali di Fratelli d’Italia, in rapida ascesa nei consensi e poco disposti a digerire ulteriori mattane salviniane (tipo la follia delle comunali di Milano dello scorso autunno). Tira pure Forza Italia, data ormai al capolinea solo pochi mesi fa, ma che ora – grazie proprio alla débâcle padana – pur con un Berlusconi esausto rialza la testa e detta condizioni. E tirano a più non posso tutte quelle figure e quelle formazioni che vedono nel caos imperante l’opportunità di trovare una terza via (o quarta, o quinta) in grado di coagulare e raccogliere i consensi della maggioranza silenziosa e scontenta: un nuovo, grande partito di centro che aggreghi valori e obiettivi che i populismi e gli estremismi dell’ultimo trentennio hanno colpevolmente accantonato.

A questa chimerica aspirazione, che avrebbe il malcelato obiettivo di superare le attuali usurate componenti del centrodestra, possiamo associare - tra gli altri - la ministra bresciana Maristella Gelmini, sempre più insofferente nelle spire di una Fi a guida Tajani, il ministro Giancarlo Giorgetti e una cospicua e silenziosa corrente annidata sul Carroccio, Maurizio Lupi con la piccola Noi per l’Italia e via via tutta la pletora che fa capo ad Azione di Calenda, Italia Viva di Renzi e via andare, nonché – chissà – quell’oggetto per ora non identificato che è la neonata Insieme per l’Italia del fuoriuscito grillino Luigi Di Maio.

Benzina sul fuoco potrebbero gettarla i risultati dei ballottaggi di oggi: per esempio, in questo rovente inizio d’estate, una sconfitta di (centro) destra nella vicina Verona potrebbe far deflagrare a livello nazionale tutti questi malumori. Con conseguenze devastanti per l’unità della coalizione. Il cantiere è senz’altro aperto, ma il tempo è pochissimo: fra meno di un anno in Lombardia si voterà per le politiche, per le regionali, a Brescia anche per le comunali. Lo scenario ora più credibile vede arrivare al traguardo un centrodestra ancora diviso e litigioso.

Quadro che non dispiace certo al centrosinistra, certo non esente da problemi, ma che ha il vantaggio di poter aspettare in «surplace» che i rivali i danni se li procurino da soli. Archiviato - anche se non ancora ufficialmente - l’inutile patto elettorale con l’ormai ininfluente M5s contiano, il Pd si trova probabilmente davanti a un’occasione storica. A giocare bene le proprie carte e scegliendo alleati disposti più a costruire che disfare, il tabù di una vittoria alle regionali in Lombardia appare stavolta violabile. Anche per Letta & Co. la scelta del candidato governatore sarà fondamentale. Circola tra gli altri, lo sanno tutti, il nome di Emilio Del Bono: uomo preparato, per bene e all’altezza, sebbene sembri che sia proprio lui per primo a non crederci fino in fondo. Ci sbagliamo?

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