LA GRANDE SETE

La politica in ritardo e la chance del PNRR

di Francesco Morosini

La carenza di acqua è uno dei gravi problemi del futuro, tant’è che per l’ex Segretario dell’Onu Annan il controllo delle risorse idriche sarà il casus belli del XXI secolo. Ma già adesso la scarsità di “oro blu”, un bene strategico sia a uso privato sia industriale, è una minaccia. Riguarda solo il “mondo povero”? No, la sua penuria si avverte pure nel mondo sviluppato; dunque anche in Italia, Paese che secondo l’Arera (autorità competente) già da tempo soffre di forti differenze territoriali nella qualità dei servizi idrici. E ora la siccità, a partire dal settore agricolo, aggredisce in particolare l’area lombardo-veneta. Tutta colpa della natura? E, soprattutto, che cosa fare? Di sicuro il cambiamento climatico incide sulle disponibilità idriche; eppure, questa loro scarsità ha anche un’origine politica. Ovvero, la gestione delle riserve mostra gravi pecche e ritardi di programmazione perfino nell’uso dei bacini da riempire prima che l’emergenza (anzi, le emergenze) raggiungano le cronache. La natura, se ferita e trascurata, può metterci del suo. Non di meno, insegna il Nobel per l’Economia Sen, spesso l’imprevidenza politica facilita i disastri, portandoli a limiti cui è difficile uscire indenni.
Così accade che il Nord d’Italia, che per la vicinanza delle Alpi e una solitamente buona media annuale di precipitazioni, dovrebbe avere buone risorse d’acqua, sia invece in una pesante situazione di stress idrico. Si può pensare a un rimedio strutturale? In teoria c’è il Pnrr (il Piano di ripresa e resilienza), il documento del governo elaborato per meglio utilizzare i fondi europei del Next generation EU. Al di là della politica italiana che vi vede più risorse da spendere per il consenso e meno uno strumento per la modernizzazione ambientale/industriale, sta di fatto che le risorse del Pnrr per l’acqua sono di 4,38 miliardi di euro, mentre la Federazione degli operatori del settore (Utilitalia) riterrebbe necessaria una cifra almeno tre volte maggiore. La stessa Arera, rapportandosi sul Pnrr con la commissione Attività produttive della Camera dei Deputati, prevede necessari almeno 10 miliardi di euro per la riqualificazione, ad esempio, della rete idrica, un colabrodo. Inoltre, c’è ritardo nel recupero delle acque piovane e in ambito di fognature e depurazione; e la cosa ci costa da anni multe salate da parte dell’Ue. Pertanto, la domanda è: il Pnrr è lo strumento adatto per risolvere in prospettiva la grave carenza idrica italiana? No, se lo leggiamo, contro la sua ratio, come una sorta di panacea al problema. Il motivo è che qui esiste pure una questione tariffaria e/o di bilancio pubblico. Viceversa, se lo scopo del Pnrr è di favorire l’utilizzo di tecnologie innovative (riuso dei fanghi, ad esempio), allora le sue pur modeste cifre previste nello specifico potrebbero essere sufficienti. Valida questa filosofia, gli altri interventi a tecnologia tradizionale (depuratori e reti fognarie) andrebbero finanziati operando difficili scelte consensuali su tariffe e di bilancio pubblico. Insomma, la crisi idrica del lombardo-veneto è politica prima che naturale. 

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